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fiordiloto_1969
view post Posted on 18/7/2011, 10:54     +1   -1




BIOGRAFIA DI TOMMASO CAMPANELLA



La vita e le opere di Tommaso Campanella


Tommaso Campanella nacque a Stilo (Calabria) nel 1568. Entrò a 14 anni nell’Ordine dei domenicani dove fu educato alla cultura aristotelica-scolastica.

I suoi interessi lo portarono ben presto a rifiutare quella cultura portandolo alla lettura appassionata di filosofi antichi soprattutto platonici e di Telesio.

A Napoli strinse rapporti con Della Porta da cui trasse profonde suggestioni in merito alle teorie e pratiche magico-astrologiche che costituiranno poi un motivo fondamentale delle sue prospettive politiche e filosofiche.

Fu coinvolto in numerosi processi per le sue dottrine sospette di eresia. Rientrato in Calabria nutre l’ambizione d’esser profeta d’un profondo rinnovamento politico e culturale : organizza così una congiura contro il governo spagnolo ma fallisce miseramente.


Arrestato nel 1599 subisce un lungo processo di fronte a un tribunale ecclesiastico e civile : riuscirà ad evitare la morte solo fingendosi pazzo.

Scarcerato nel 1626 fu poi nuovamente arrestato e liberato solo nel 1629. Si rifugia a Roma dove incontra la protezione del papa Umberto VIII che a lui si rivolge per consigli di ordine astrologico. Nel 1634, ancora perseguitato dal governo spagnolo decide di riparare a Parigi.

Qui è accolto con grandi onori e si dedica così alla pubblicazione di varie opere. Muore a Parigi nel 1639. Tra le sue opere :
De sensu rerum sive de magia,
Philosophia realis,


Il pensiero di Tommaso Campanella


Il pensiero di Tommaso Campanella risente fin nel profondo l’insegnamento platonico.

La sua dottrina dei principi attivi, caldo e freddo nonché la dottrina del senso, si inseriscono un una concezione platonica della natura come un tutto animato, organico, retto da forze che si attraggono e si respingono.

Le simpatie e antipatie rinvenute nel fluire della vita della natura (fondamento della magia di Campanella) ne sono chiara testimonianza. Lo spirito altro non è che materiale caldo e sottile, veicolo di sensibilità.

Ogni essere (dall’uomo alla pietra) vive e sente.

Il sentire da un lato è un mutarsi, un farsi o divenire l’oggetto sentito, un divenire tuttavia mai completo e per questo il conoscere dell’uomo è sempre limitato e parziale.

D’altra parte il sentire s’accompagna sempre alla consapevolezza del sentire stesso così che il sapere è sempre e innanzitutto un sapere di sé e poiché il sentire è conoscere, conoscere un qualcosa significa acquisire la consapevolezza d’esser in qualche modo modificati da quella cosa.

In Telesio, Campanella vedeva il maestro di una nuova libertà del filosofare, colui che aveva finalmente messo fuori gioco Aristotele ed iniziato una filosofia legata alla diretta osservazione della natura.

La natura, per Campanella è retta dalle forze (primalità) che sono diretta emanazione della divinità. Potenza, sapienza, amore si rispecchiano nella capacità d’ogni cosa di auto conservarsi, amarsi e di conseguire il proprio fine.

Nell’organica gerarchia degli esseri viventi si inserisce anche l’uomo, capace di sentire e di conoscere in virtù dello spirito diffuso in lui al pari di ogni altra cosa esistente in natura.

Ciò che però contraddistingue l’uomo è per Campanella l’anima immortale, o mente a lui donata da Dio e in virtù della quale solo in lui alberga quell’aspirazione all’infinito che segna la sua radicale diversità e superiorità rispetto ali altri animali.


Nell’opera più celebre, La Città del Sole, Campanella dà sfogo alle aspirazioni di rinnovamento politico e sociale che contraddistinsero la sua vita fin dall’età giovanile.

Al pari, l’opera rappresenta un modello di riferimento per la comprensione dello spirito più generale che caratterizza la volontà di riscatto dell’Europa del diciassettesimo secolo di fronte all’irreversibile declino del sistema feudale.

Abbandonati certi schematismi della tradizione aristotelica e della teologia classica, la filosofia politica del Rinascimento giunge alla formulazione di una nuova teoria dello stato e della sovranità in riferimento ad una mutata formulazione del rapporto tra politica, morale e religione.


Al tempo stesso vengono posti in primo piano temi quali la libertà e la tolleranza alla luce dei quali si indicano alternativi sistemi politici e sociali.

In questo contesto si colloca l’utopia di Campanella che, al pari di quella di Tommaso Moro, vuole essere un’indicazione di un possibile alternativo modo di vivere, radicalmente diverso da quello a lui contemporaneo e basato su principi più giusti, più conformi alla natura ed alla ragione umana.

Vengono ad esempio evocate, nel libro di Campanella, la comunanza dei beni, la comunanza sessuale, la religione per così dire naturale, ridotta alla credenza nell’esistenza di un Dio provvidente e nell’immortalità dell’anima.

L’organizzazione politica si scandisce secondo una gerarchia di competenze e funzioni.

Al vertice il sovrano, o Sole, o Metafisico attorno al quale stanno Po, Sin, Mor cioè il corrispettivo, in sede politica, delle tre primalità divine sopra dette (potenza, sapienza, amore); ciascuno di questi magistrati svolge una propria funzione nell’organizzazione della città.

Il metafisico è colui che conosce tutte le storie delle genti e tutte le arti liberali e meccaniche, quindi tutte le scienze e, soprattutto, come dice il nome, egli è metafisico e teologo perché può conoscere la radice ultima della realtà.

In tale città il primato è assegnato al sapere e quindi l’educazione ha un posto privilegiato e essenziale.

L’educazione deve essere, per Campanella, assolutamente antiscolastica e antilibresca, deve fondarsi sulla contemplazione della natura e sul lavoro : un’educazione che sia aperta a tutti e resa per tutti accessibile (la stessa organizzazione della città e speciali scritte e disegni che si possono leggere sui muri permettono a tutti di acquisire rapidamente il sapere a loro necessario).

Se per molti aspetti La Città del Sole di Campanella ripete modelli ormai tradizionali, mostra però il suo senso più vero se inserita nel complesso delle riflessioni dell’autore.

È nota la sua attesa escatologica di un imminente sovvertimento dell’ordine delle cose.

Segni di tale rivoluzione giungono a lui dalle stelle e dal convergere di diverse profezie. In tale prospettiva la Città del Sole è un modello che si propone per quella che sarà la nuova organizzazione monarchica universale.

In più, la vicinanza da lui avvertita tra religione naturale e cristianesimo (il quale a suo dire alla religione naturale nulla cosa aggiunge se non i sacramenti) è per Campanella motivo per affermare che “la vera legge è la cristiana e che, tolti gli abusi, sarà signora del mondo”.

Tale convergenza della ragione e della natura con il cristianesimo è un momento essenziale in tutta la sua prospettiva politica-escatologica.






La città del sole fu scritta dal filosofo italiano Tommaso Campanella (Stilo di Calabria 1568 - Parigi 1639), appartenente all’Ordine dei Domenicani, nel 1602. A questa prima edizione in italiano, ne seguirono altre sia in volgare che in latino: una soprattutto, pubblicata nel 1623 a Francoforte col titolo di Civitas Solis idea republicae philosophica, ebbe grande fortuna. L’opera consiste in un dialogo tra un cavaliere di Malta e un ammiraglio genovese, il quale ha appena fatto ritorno dal giro del mondo ed espone al suo interlocutore la vita di una città, chiamata Città del sole, che si trova sulla linea dell’Equatore. Il dialogo, che si ricollega alla tradizione della Repubblica di Platone e di Utopia di Tommaso Moro, serve a Campanella per illustrare la sua teoria ideale sulla migliore forma di governo. La città, spiega l’ammiraglio, si trova sull’isola di Taprobana (che i critici fanno corrispondere all’isola di Ceylon) ed è eretta su un alto colle; è circondata da sette cerchia di mura, praticamente inespugnabili, ognuna delle quali porta il nome di uno dei sette pianeti, mentre le entrate per accedere alla città sono quattro, situate in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Alla sommità del monte si trova un tempio di forma circolare, consacrato al Sole, sulla cui volta sono dipinte le stelle maggiori. Sole, o Metafisico, è anche il nome del sacerdote capo della città che esercita un potere assoluto, civile e religioso, anche se è assistito da tre principi: Pon (Potenza), Sin (Sapienza) e Mor (Amore). Pon si occupa delle arti militari e della guerra; Sin si occupa dell’istruzione; Mor presiede a tutto ciò che riguarda la generazione, ma anche la salute, l’alimentazione, il vestiario. La società si basa sulla comunione dei beni (le donne vengono di fatto incluse, da Campanella, in questa categoria, visto che il filosofo parla del loro “uso comune” e “commerzio”). Secondo il filosofo è infatti la proprietà privata a scatenare i conflitti tra diversi membri della società: eliminata la proprietà si eliminano anche tutti i reati legati ad essa. Nella Città del sole non esistono servi e padroni, a tutti si insegnano le stesse arti che hanno tutte pari dignità; le mense, così come i dormitori, i posti di ricreazione, i vestiti, sono comuni. Anche i figli vengono cresciuti in comune.

Poche parole sintentiche ed asaustive dell'opera più famosa di Tommaso Campanella, che ha avuto un ruolo di prim'ordine nella progressiva crescita in Europa dell'emancipazione da quel pensiero figlio di un medioevo agitato da potenze negative ed oscure, da quella sorta di crogiolo superstizioso che costituiva parte fondante anche del cinquecento, sebbene comunque il medioevo sia stata un'epoca più complessa e articolata di quel che viene comunemente perpetrato.

Con Tommaso Campanella abbiamo un libero pensatore e filosofo di primissimo ordine che desidera un uomo libero, che in qualche modo recuperi lo splendore della sua più profonda identità, classica, antica e moderna al contempo.

Anacronistica e discutibile, per fortuna, la sua visione sulle donne e i figli, tuttavia bisogna tener conto dei tempi e del costume dell'epoca, ma le sue idee sono e rimangono di una portata rivoluzionaria che ancora oggi può ispirare tutti coloro che credono in un mondo nuovo e fondato su principi giusti. Inoltre "le sue donne" svolgono un ruolo attivo nella società ed hanno livelli di emancipazione assolutamente utopici per quel periodo.

La Città del Sole è un capolavoro e si consigliano altri titoli di questo importante filosofo.


Edited by fiordiloto_1969 - 11/8/2011, 19:45
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 11/8/2011, 18:43     +1   -1




GIOVANNI PASCOLI



Giovanni Placido Agostino Pascoli nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. All'età di dodici anni perde il padre, ucciso da una fucilata sparata da ignoti; la famiglia è costretta a lasciare la tenuta che il padre amministrava, perdendo quella condizione di benessere economico di cui godeva.

Nell'arco dei sette anni successivi, Giovanni perderà la madre, una sorella e due fratelli. Prosegue gli studi prima a Firenze, poi a Bologna. Nella città emiliana aderisce alle idee socialiste: durante una delle sue attività di propaganda nel 1879 viene arrestato. Consegue la laurea in Lettere nel 1882.

Inizia a lavorare come professore: insegna greco e latino a Matera, Massa e Livorno; suo obiettivo è quello di riunire attorno a sè i membri della famiglia. In questo periodo pubblica le prime raccolte di poesie: "L'ultima passeggiata" (1886) e "Myricae" (1891).

L'anno seguente vince la prima delle sue d'oro al concorso di poesia latina di Amsterdam; parteciperà varie volte negli anni, vincendo in totale 13 medaglie d'oro.

Dopo un breve soggiorno a Roma si trasferisce a Castelvecchio di Barga, piccolo comune toscano dove acquista una villetta e una vigna. Con lui vi è la sorella Maria - da lui affettuosamente chiamata Mariù - vera compagna della sua vita, considerato che Pascoli non si sposerà mai.

Ottiene un posto per insegnare all'università, prima a Bologna, poi a Messina e infine a Pisa. In questi anni pubblica tre saggi danteschi e varie antologie scolastiche.

La produzione poetica prosegue con i "Poemetti" (1897) e i "Canti di Castelvecchio" (1903). Convertitosi alle correnti nazionaliste, raccoglie i suoi discorsi sia politici, che poetici e scolastici nei "Miei pensieri di varia umanità" (1903).

Ottiene poi la prestigiosa cattedra di Letteratura italiana a Bologna, prendendo il posto lasciato da Giosuè Carducci.

Nel 1907 pubblica "Odi ed inni", a cui seguono "Canzoni di re Enzo" e i "Poemi italici" (1908-1911).

La poesia di Pascoli è caratterizzata da una metrica formale fatta di endecasillabi, sonetti e terzine coordinati con grande semplicità. La forma è classica esternamente, maturazione del suo gusto per le letture scientifiche: a tali studi si ricollega il tema cosmico di Pascoli, ma anche la precisione del lessico in campo botanico e zoologico. Uno dei meriti di Pascoli è stato quello di rinnovare la poesia, toccando temi fino ad allora trascurati dai grandi poeti: con la sua prosa trasmette il piacere delle cose semplici, usando quella sensibilità infantile che ogni uomo porta dentro di se.

Pascoli era un personaggio malinconico, rassegnato alle sofferenze della vita e alle ingiustizie della società, convinto che quest'ultima fosse troppo forte per essere vinta. Nonostante ciò, seppe conservare un senso profondo di umanità e di fratellanza. Crollato l'ordine razionale del mondo, in cui aveva creduto il positivismo, il poeta, di fronte al dolore e al male che dominano sulla Terra, recupera il valore etico della sofferenza, che riscatta gli umili e gli infelici, capaci di perdonare i propri persecutori.

Nel 1912 la sua salute peggiora e deve lasciare l'insegnamento per curarsi. Trascorre i suoi ultimi giorni a Bologna, dove muore il 6 aprile.

Opere principali:

1891 - Myricae (I edizione della fondamentale raccolta di versi)
1896 - Iugurtha (poemetto latino)
1897 - Il fanciullino (scritto pubblicato sulla rivista "Il Marzocco")
1897 - Poemetti
1898 - Minerva oscura (studi danteschi)
1903
- Canti di Castelvecchio (dedicati alla madre)
- Myricae (edizione definitiva)
- Miei scritti di varia umanità
1904
- Primi poemetti
- Poemi conviviali
1906
- Odi e Inni
- Canti di Castelvecchio (edizione definitiva)
- Pensieri e discorsi
1909
- Nuovi poemetti
- Canzoni di re Enzio
- Poemi italici
1911-1912
- Poemi del Risorgimento
- Carmina
- La grande proletaria si è mossa



POESIE


Mare

M'affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l'onde.
Vedo stelle passare, onde passare:
un guizzo chiama, un palpito risponde.

Ecco sospira l'acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d'argento.

Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?



La voce

C'è una voce nella mia vita,
che avverto nel punto che muore;
voce stanca, voce smarrita,
col tremito del batticuore:
voce d'una accorsa anelante,
che al povero petto s'afferra
per dir tante cose e poi tante,
ma piena ha la bocca di terra:
tante tante cose che vuole
ch'io sappia, ricordi, sì... sì...
ma di tante tante parole
non sento che un soffio... Zvanî...
Quando avevo tanto bisogno
di pane e di compassione,
che mangiavo solo nel sogno,
svegliandomi al primo boccone;
una notte, su la spalletta
del Reno, coperta di neve,
dritto e solo (passava in fretta
l'acqua brontolando, Si beve?);
dritto e solo, con un gran pianto
d'avere a finire così,
mi sentii d'un tratto daccanto
quel soffio di voce... Zvanî...
Oh! la terra, com'è cattiva!
la terra, che amari bocconi!
Ma voleva dirmi, io capiva:
- No... no... Di' le devozioni!
Le dicevi con me pian piano,
con sempre la voce più bassa:
la tua mano nella mia mano:
ridille! vedrai che ti passa.
Non far piangere piangere piangere
(ancora!) chi tanto soffrì!
il tuo pane, prega il tuo angelo
che te lo porti... Zvanî... -
Una notte dalle lunghe ore
(nel carcere!), che all'improvviso
dissi - Avresti molto dolore,
tu, se non t'avessero ucciso,
ora, o babbo! - che il mio pensiero,
dal carcere, con un lamento,
vide il babbo nel cimitero,
le pie sorelline in convento:
e che agli uomini, la mia vita,
volevo lasciargliela lì...
risentii la voce smarrita
che disse in un soffio... Zvanî...

Oh! la terra come è cattiva!
non lascia discorrere, poi!
Ma voleva dirmi, io capiva:
- Piuttosto di' un requie per noi!
Non possiamo nel camposanto
più prendere sonno un minuto,
ché sentiamo struggersi in pianto
le bimbe che l'hanno saputo!
Oh! la vita mia che ti diedi
per loro, lasciarla vuoi qui?
qui, mio figlio? dove non vedi
chi uccise tuo padre... Zvanî?... -
Quante volte sei rivenuta
nei cupi abbandoni del cuore,
voce stanca, voce perduta,
col tremito del batticuore:
voce d'una accorsa anelante
che ai poveri labbri si tocca
per dir tante cose e poi tante;
ma piena di terra ha la bocca:
la tua bocca! con i tuoi baci,
già tanto accorati a quei dì!
a quei dì beati e fugaci
che aveva i tuoi baci... Zvanî!...
che m'addormentavano gravi
campane col placido canto,
e sul capo biondo che amavi,
sentivo un tepore di pianto!
che ti lessi negli occhi, ch'erano
pieni di pianto, che sono
pieni di terra, la preghiera
di vivere e d'essere buono!
Ed allora, quasi un comando,
no, quasi un compianto, t'uscì
la parola che a quando a quando
mi dici anche adesso... Zvanî..
 
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