POESIE,COMMEDIE...già inserito, tutto quello che riguarda la poesia i poeti le commedie ecc...

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fiordiloto_1969
view post Posted on 25/4/2011, 18:47     +1   -1




GIOSUE' CARDUCCI



Giosuè Carducci nasce il 27 luglio 1835 a Valdicastello in provincia di Lucca, da Michele Carducci, medico e rivoluzionario, e Ildegonda Celli, di origini volterrane. Il 25 ottobre 1838 la famiglia Carducci, a causa del concorso vinto dal padre per diventare medico di zona, si trasferisce a Bolgheri, sperduto paesello della Toscana che grazie al poeta diventerà famoso in tutti il mondo. La permanenza nella Maremma è testimoniata e rievocata con affettuosa nostalgia nel sonetto "Traversando la Maremma toscana" (1885) e in molti altri luoghi della sua poesia.

Del nucleo familiare fa anche parte la celeberrima Nonna Lucia, una figura determinante nell'educazione e formazione del piccolo Giosuè tanto che il poeta la ricorda con grande affetto nella poesia "Davanti San Guido". Pochi anni dopo, però (precisamente nel 1842), questa figura per noi ormai nobilmente letteraria muore, gettando Giosuè nella disperazione.



I moti rivoluzionari intanto prendono piede, moti nei quali è coinvolto il passionale e "testacalda" padre Michele. La situazione si complica al punto tale che vengono sparate fucilate contro la casa della famiglia Carducci, in seguito all'acuirsi del conflitto tra Michele Carducci e la parte più conservatrice della popolazione bolgherese; l'evento li costringe al trasferimento nella vicina Castagneto dove rimangono per quasi un anno (oggi conosciuta appunto come Castagneto Carducci).

Il 28 aprile 1849 i Carducci giungono a Firenze. Giosuè frequenta l'Istituto degli Scolopi e conosce la futura moglie Elvira Menicucci, figlia di Francesco Menicucci, sarto militare. L'11 novembre 1853 il futuro poeta entra alla Scuola Normale di Pisa. I requisiti per l'ammissione non collimano perfettamente, ma è determinante una dichiarazione di padre Geremia, suo maestro, in cui garantisce: "... è dotato di bell'ingegno e di ricchissima immaginazione, è colto per molte ed eccellenti cognizioni, si distinse persino tra i migliori. Buono per indole si condusse sempre da giovine cristianamente e civilmente educato". Giosuè sostiene gli esami svolgendo brillantemente il tema "Dante e il suo secolo" e vince il concorso. Negli stessi anno costituì, insieme con tre compagni di studi, il gruppo degli "Amici pedanti", impegnato nella difesa del classicismo contro i manzoniani. Dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, insegna retorica al liceo di San Miniato al Tedesco.

E' il 1857, anno in cui compone le "Rime di San Miniato" il cui successo è quasi nullo, salvo una citazione su una rivista contemporanea del Guerrazzi. La sera di mercoledì 4 novembre si uccide il fratello Dante squarciandosi il petto con un bisturi affilatissimo del padre; mille le congetture. Si dice perché stanco dei rimbrotti familiari specialmente del padre, che era diventato intollerante e duro anche con i figli. L'anno dopo, ad ogni modo, muore il padre del poeta.

Un anno di lutto e il poeta finalmente si sposa con Elvira. In seguito, dopo la nascita delle figlie Beatrice e Laura, si trasferisce a Bologna, un ambiente assai colto e stimolante, dove insegna eloquenza italiana all'Università. Ebbe così inizio un lunghissimo periodo di insegnamento (durato fino al 1904), caratterizzato da una fervida e appassionata attività filologica e critica. Nasce anche il figlio Dante che però muore in giovanissima età. Carducci è duramente colpito dalla sua morte: torvo, lo sguardo fisso nel vuoto, si porta dietro il suo dolore ovunque, in casa, all'università, a passeggio. Nel giugno 1871 ripensando al figlio perduto compone "Pianto antico".

Negli anni '60, lo scontento provocato in lui dalla debolezza dimostrata, a suo giudizio, in più occasioni dal governo postunitario (la questione romana, l'arresto di Garibaldi) sfociò in un atteggiamento filo-repubblicano e addirittura giacobino: ne risentì anche la sua attività poetica, caratterizzata in quest'epoca da una ricca tematica sociale e politica.
Negli anni successivi, con il mutare della realtà storica italiana, Carducci passò da un atteggiamento violentemente polemico e rivoluzionario a un ben più tranquillo rapporto con lo stato e la monarchia, che finì per l'apparirgli la migliore garante dello spirito laico del Risorgimento e di un progresso sociale non sovversivo (contro al pensiero socialista).
La nuova simpatia monarchica culminò nel 1890 con la nomina a senatore del regno.

Tornato a Castagneto nel 1879, dà vita, insieme ai suoi amici e compaesani alle celebri "ribotte " durante le quali ci si intrattiene degustando piatti tipici locali, bevendo vino rosso, chiacchierando e recitando i numerosi brindisi composti per quelle occasioni conviviali.

Nel 1906 al poeta viene assegnato il Premio Nobel per la Letteratura. Le condizioni di salute non gli consentono di recarsi a Stoccolma per ritirare il premio che gli viene consegnato nella sua casa di Bologna.

Il 16 febbraio 1907 Giosuè Carducci muore nella sua casa di Bologna.
I funerali si tengono il 19 febbraio e il Carducci viene seppellito alla Certosa di Bologna dopo varie polemiche relative al luogo di inumazione.




Pianto antico
di
Giosuè Carducci


L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da' bei vermigli fior,

5 nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora,
e giugno lo ristora
di luce e di calor.

Tu fior de la mia pianta
10 percossa e inaridita,
tu de l'inutil vita
estremo unico fior,

sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
15 né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.


Edited by fiordiloto_1969 - 25/8/2011, 12:39
 
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Doremil
view post Posted on 26/4/2011, 08:23     +1   -1




Questo topic mi piace....brava Fiore ;)
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 26/4/2011, 09:18     +1   -1




Si ma metti anche tu qualche poesia o commedia che conosci ciao !!!! :D
 
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Doremil
view post Posted on 26/4/2011, 14:14     +1   -1




CITAZIONE (fiordiloto_1969 @ 26/4/2011, 10:18) 
Si ma metti anche tu qualche poesia o commedia che conosci ciao !!!! :D

lo farò senz'altro!!!... ;)
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 26/4/2011, 20:41     +1   -1




GIOVANNI PASCOLI



Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, Forlì 31 dicembre 1855 - Castelvecchio di Braga, Bologna 6 aprile 1912) è stato uno dei maggiori poeti italiani di fine ottocento.

Stile letterario e temi trattati

Giovanni PascoliGiovanni Pascoli risentì non poco dei drammi patiti da giovanissimo. La morte dei genitori e lo sgretolamento progressivo del nucleo familiare (che tentò inutilmente di riconsoliare in vari periodi della sua vita), divennero il simbolo della mancanza di certezze nella vita. Anche la precarietà continua a cui fu costretto a sottostare negli anni del liceo e dell'università, così come la solitudine, lo portarono a un atteggiamento pessimistico nei confronti della vita.

Tutto ciò si può trovare chiaramente nelle sue opere. La morte, nella sua poesia, è una presenza continua che non abbandona mai l'uomo e il poeta ne parla attraverso richiami al mondo della natura, che percepisce in maniera inquietante. Perchè il poeta Pascoli, tutte le forme del cosmo appaiono strane e ambigue e la presenza costante del male nell'animo umano lo turba notevolmente.
Tale visione negativa della vita portò inevitabilmente il poeta a desiderare di fuggire dalle città per rifugiarsi nella natura.


In molte opere lo scenario è quello del mondo naturale, con paesaggi nei quali illustra la vita di piccole creature e i colori della flora. I suoi assumono una grande importanza e finisce per considerarli come voci umane, rimandendo quindi coerente con la sua visione ambigua del cosmo e della natura.

In tutte le sue poesie non mostra quasi mai immagini chiare e ben definite, ma sempre indefinite, quasi immateriali. Utilizza quindi molte metafore, allegorie e sinestesie. Tuttavia, il messaggio che manda nella sue opere è sempre chiaro e facilmente comprensibile: all'interno di descrizioni e immagini quasi cifrate, si riconosco i desideri e le paure del poeta.

Tra i temi principali, troviamo quello del "nido", ovvero Il simbolo della ricostruzione di quello che restava della sua famiglia. Il nido è anche simbolo di una regressione psicologica verso l'infanzia. E da questo deriva anche "il fanciullo interiore".

l poeta, per il Pascoli, è quel fanciullino presente in ognuno di noi, un fanciullino che rimane piccolo e sempre presente nell'animo, anche dopo la crescita e l'invecchiamento naturale del corpo. La verità, secondo il Pascoli, non va raggiunta attraverso il ragionamento ma in modo intuitivo e irrazionale. Ogni elemento della realtà non va osservato analiticamente, ma con stupore, con la meraviglia tipica dei bambini. Anche la poesia deve essere spontanea e intuitiva, mai razionale.

 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 28/4/2011, 16:15     +1   -1




PABLO NERUDA




Pablo Neruda è lo pseudonimo che Neftalì Ricardo Reyes scelse in onore del poeta cecoslovacco Jan Neruda (1834-1891)cantore della povera gente. Egli nacque a Parral nel 1904, da famiglia modesta che trascorse l'infanzia scontrosa nel piovoso, malinconico e selvaggio sud del Cile; frequentò le scuole fino al liceo nella cittadina di Temuco e poi l'Università a Santiago.
Dal 1926 al 43 girò il mondo come rappresentante diplomatico del suo paese, nel'36-37 visse l'esperienza della guerra civile spagnola non soltanto da spettatore interessato. L'incontro o meglio la scoperta della Spagna fu per Pablo Neruda un fatto di estrema importanza. Come scrisse su di lui Dario Puccini: "Uno di quei salti dialettici grazie ai quali la storia esterna diviene storia personale, la vita degli altri vita propria, il dolore del mondo sentimento radicato" .Neruda, favorito dalle circostanze, mise un pur lieve scompiglio nella letteratura spagnola facendosi paladino della "poesia impura" opponendosi alla linea purista di Juan Ramon Ramirez. Allora la sua influenza non fu preponderante ma si fece sentire più tardi e ancora perdura in qualche modo presso le generazioni intermedie e recenti.
Dopo aver subito il fascino dell'incontro con la poesia spagnola, il poeta cileno venne travolto nell'appassionata vicenda della guerra civile: prese subito posizione a favore della Repubblica aggredita; fu scosso dalla tremenda fucilazione di Lorca e con Cesar Vallejo, un poeta peruviano, fondò il Gruppo ispano-americano d'aiuto alla Spagna. La guerra civile determinò un mutamento profondo nell'animo, nelle convinzioni, nella cultura, nella poesia del poeta. La sua fu una vera e propria conversione al prossimo e la sua poesia divenne quella dell'uomo con gli uomini cioè una poesia sociale e di lotta politica, di adesione e di repulsione rispetto al prossimo, di sostegno e di esacrazione, di speranza e di rabbia: d'azione"
E quando cessata la guerra civile e sconfitte le armi repubblicane tanti spagnoli furono costretti all'esilio o morirono fucilati o in carcere quel "legame materno" con la Spagna si fece per Pablo drammatico e fu come una goccia di sangue che rimase indelebile. Se uno dei sentimenti più forti dell'anima moderna è quello di un continuo e cocente esilio di una imprecisata perdita esistenziale, la Spagna è stata per Neruda quella perdita, quell'esilio:Un vuoto angoscioso e accorato che si ripercuote nel suo virile grido di poeta dal lontano '39 a oggi
Nel 1944 tornato in Cile s'iscrisse al partito comunista cileno e venne eletto senatore.
Dal '48 al 52 fu perseguitato e costretto all'esilio per la sua presa di posizione contro il neodittatore Gonzalez Videla; così tornò a viaggiare per il mondo.Nel 1971 guadagna il premio nobel per la letteratura, nel 1973 torna in Cile e in quello stesso anno muore a Santiago subito dopo il colpo di Stato del generale Pinochet.





IL FIGLIO

Sai da dove vieni?
... vicino all'acqua d'inverno
io e lei sollevammo un rosso fuoco
consumandoci le labbra
baciandoci l'anima,
gettando al fuoco tutto,
bruciandoci la vita.
Così venisti al mondo.
Ma lei per vedermi
e per vederti un giorno
attraversò i mari
ed io per abbracciare
il suo fianco sottile
tutta la terra percorsi,
con guerre e montagne,
con arene e spine.
Così venisti al mondo.
Da tanti luoghi vieni,
dall'acqua e dalla terra,
dal fuoco e dalla neve,
da così lungi cammini
verso noi due,
dall'amore che ci ha incatenati,
che vogliamo sapere
come sei, che ci dici,
perché tu sai di più
del mondo che ti demmo.
Come una gran tempesta
noi scuotemmo
l'albero della vita
fino alle più occulte
fibre delle radici
ed ora appari
cantando nel fogliame,
sul più alto ramo
che con te raggiungemmo.

 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 2/5/2011, 11:41     +1   -1




DANTE ALIGHIERI



La vita

Poeta italiano (Firenze 1265-Ravenna 1321). Nacque da Alighiero di Bellincione e da Bella in una famiglia di piccola nobiltà cittadina non fornita di larghe risorse. Perduta nell'infanzia la madre, promesso dal 1277 a Gemma Donati (il matrimonio avvenne intorno al 1285), visse adolescenza e giovinezza nelle occupazioni consuete ai giovani del suo ambiente: studi grammaticali e retorici, amicizie letterarie, incontri con personaggi affermati della cultura del tempo. Altra componente culturale del tempo, la cosiddetta scuola poetica "siciliana", e poi dei rimatori siculo-toscani, fra cui ebbe grande spicco la personalità artistica di Guittone d'Arezzo: letture di questo tipo influenzarono il primo momento poetico di Dante e lo disposero al fondamentale incontro (1283) con un altro poeta, già affermato e maggiore d'età, Guido Cavalcanti, definito nella Vita nuova "primo amico". In questi anni l'esperienza letteraria e la vita stessa del poeta ricevettero un'impronta originale e incancellabile dall'incontro con Beatrice Portinari: momento vitale, il cui significato è chiarito dalla Vita nuova. La morte della donna amata (1290) e la ricerca di un conforto al proprio dolore avviarono Dante a una più profonda meditazione e a più ampi studi di filosofia cui seguì ben presto (1295) la partecipazione alla vita pubblica. Egli aveva già servito il Comune (1289) combattendo a Campaldino (contro Arezzo) e a Caprona (contro Pisa); ma, nella guelfa Firenze divisa in parte nera (capeggiata dai potenti Donati e sostenuta dal papa) e parte bianca (guidata dai Cerchi, più moderati e fautori d'una politica autonoma), Dante, aderendo spontaneamente ai Bianchi e opponendosi all'ingerenza di Bonifacio VIII nella vita cittadina, primeggiò tra i responsabili della politica fiorentina. Ambasciatore del Comune a San Gemignano e priore nel 1300, venne inviato in ambasceria presso il papa nel 1301, quando Carlo di Valois (ufficialmente paciere tra le parti, ma occulto sostenitore dei Donati) si avvicinava a Firenze. Con l'entrata di Carlo in città i Neri conquistarono il potere: nel 1302, accusato di baratteria, Dante venne condannato prima all'esilio e poi alla morte. Bandito, egli fu tra i firmatari, a San Godenzo, del patto con gli Ubaldini per muovere guerra a Firenze; cercò quindi aiuti per i fuorusciti a Forlì e a Verona e sperò infine, inutilmente, nella pacificazione delle parti tentata nel 1304 dal cardinale Niccolò da Prato. Staccatosi dai compagni, Dante non partecipò a un tentativo armato contro Firenze (La Lastra, luglio 1304) e cominciò le solitarie peregrinazioni per ogni parte d'Italia. Tra il 1304 e il 1306 fu a Bologna: lì prese a comporre il De vulgari eloquentia e il Convivio, che segnano l'ulteriore allargarsi e approfondirsi di interessi culturali e civili. Dopo un soggiorno in Lunigiana presso i Malaspina (1306), Dante fu a Lucca (1308), indi in Casentino. In quello stesso anno l'elezione di Enrico di Lussemburgo a imperatore fece rinascere le speranze dell'esule, convinto che il disinteresse dei passati imperatori e la prolungata vacanza dell'impero fossero cause determinanti del disordine politico e morale d'Italia e d'Europa e che la venuta in Italia di Enrico VII avrebbe riportato l'ordine e la pace. Ma la morte di Enrico (1313), dopo che la sua missione era stata avversata, oltre che da Firenze, dalla curia papale e dal re di Napoli, troncò ogni sogno di pacificazione; e Dante, intorno al 1316, riparò a Verona, presso Cangrande della Scala, e più tardi a Ravenna, presso Guido da Polenta: qui egli compì la Divina Commedia e qui lo raggiunse la morte, il 14 settembre

LA DIVINA COMMEDIA

La Commedia o Divina Commedia (originariamente Comedìa; l'aggettivo Divina, attribuito da Boccaccio, si ritrova solo a partire dalle edizioni a stampa del 1555 a cura di Ludovico Dolce) è un poema di Dante Alighieri, scritto in terzine incatenate di versi endecasillabi, in lingua volgare fiorentina. Composta secondo i critici tra il 1307 e il 1321,[1] la Commedia è l'opera più celebre di Dante, nonché una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale; conosciuta e studiata in tutto il mondo, è ritenuta uno dei capolavori della letteratura mondiale di tutti i tempi.[2]

Il poema è diviso in tre parti, chiamate cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso), ognuna delle quali composta da 33 canti (tranne l'Inferno, che contiene un ulteriore canto proemiale). Il poeta narra di un viaggio attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità. La sua rappresentazione immaginaria e allegorica dell'oltretomba cristiano è un culmine della visione medioevale del mondo sviluppatasi nella Chiesa cattolica.

L'opera ebbe subito uno straordinario successo, e contribuì in maniera determinante al processo di consolidamento del dialetto toscano come lingua italiana. Il testo, del quale non si possiede l'autografo, fu infatti copiato sin dai primissimi anni della sua diffusione, e fino all'avvento della stampa, in un ampio numero di manoscritti. Parallelamente si diffuse la pratica della chiosa e del commento al testo, dando vita a una tradizione di letture e di studi danteschi mai interrotta; si parla così di secolare commento. La vastità delle testimonianze manoscritte della Commedia ha comportato una oggettiva difficoltà nella definizione del testo critico. Oggi si dispone di un'edizione di riferimento realizzata da Giorgio Petrocchi[3]. Più di recente due diverse edizioni critiche sono state curate da Antonio Lanza[4] e Federico Sanguineti[5].

La Commedia, pur proseguendo molti dei modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, fine morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), è profondamente innovativa, poiché, come è stato rilevato in particolare negli studi di Erich Auerbach, tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà.
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 6/5/2011, 08:45     +1   -1




PIER PAOLO PASOLINI




Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo del 1922 a Bologna. Primogenito di Carlo Alberto Pasolini, tenente di fanteria, e di Susanna Colussi, maestra elementare. Il padre, di vecchia famiglia ravennate, di cui ha dissipato il patrimonio sposa Susanna nel dicembre del 1921 a Casarsa. Dopodiche' gli sposi si trasferiscono a Bologna.

Lo stesso Pasolini dirà di se stesso: "Sono nato in una famiglia tipicamente rappresentativa della societa' italiana: un vero prodotto dell'incrocio... Un prodotto dell'unita' d'Italia. Mio padre discendeva da un'antica famiglia nobile della Romagna, mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano del ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, cio' non le impedi' affatto di avere egualmente legami con la Sicilia e la regione di Roma"

Nel 1925, a Belluno, nasce il secondogenito, Guido. Visti i numerosi spostamenti, l'unico punto di riferimento della famiglia Pasolini rimane Casarsa. Pier Paolo vive con la madre un rapporto di simbiosi, mentre si accentuano i contrasti col padre. Guido invece vive in una sorta di venerazione per lui, ammirazione che lo accompagnerà fino al giorno della sua morte.
Nel 1928 è l'esordio poetico: Pier Paolo annota su un quadernetto una serie di poesie accompagnate da disegni. Il quadernetto, a cui ne seguirono altri, andrà perduto nel periodo bellico.

Ottiene il passaggio dalle elementari al ginnasio che frequenta a Conegliano. Negli anni del liceo dà vita, insieme a Luciano Serra, Franco Farolfi, Ermes Parini e Fabio Mauri, ad un gruppo letterario per la discussione di poesie.

Conclude gli studi liceali e, a soli 17 anni si iscrive all'Università di Bologna, facoltà di lettere. Collabora a "Il Setaccio", il periodico del GIL bolognese e in questo periodo scrive poesie in friulano e in italiano, che saranno raccolte in un primo volume, "Poesie a Casarsa".
Partecipa inoltre alla realizzazione di un'altra rivista, "Stroligut", con altri amici letterati friulani, con i quali crea l' "Academiuta di lenga frulana".

L'uso del dialetto rappresenta in qualche modo un tentativo di privare la Chiesa dell'egemonia culturale sulle masse. Pasolini tenta appunto di portare anche a sinistra un approfondimento, in senso dialettale, della cultura.

Scoppia la seconda guerra mondiale, periodo estremamente difficile per lui, come si intuisce dalle sue lettere. Viene arruolato sotto le armi a Livorno, nel 1943 ma, all'indomani dell'8 settembre disobbedisce all'ordine di consegnare le armi ai tedeschi e fugge. Dopo vari spostamenti in Italia torna a Casarsa. La famiglia Pasolini decide di recarsi a Versuta, al di là del Tagliamento, luogo meno esposto ai bombardamenti alleati e agli assedi tedeschi. Qui insegna ai ragazzi dei primi anni del ginnasio. Ma l'avvenimento che segnerà quegli anni e' la morte del fratello Guido, aggregatosi alla divisione partigiana "Osoppo".

Nel febbraio del 1945 Guido venne massacrato, insieme al comando della divisione osavana presso le malghe di Porzus: un centinaio di garibaldini si era avvicinata fingendosi degli sbandati, catturando in seguito quelli della Osoppo e passandoli per le armi. Guido, seppure ferito, riesce a fuggire e viene ospitato da una contadina. Viene trovato dai garibaldini, trascinato fuori e massacrato. La famiglia Pasolini saprà della morte e delle circostanze solo a conflitto terminato. La morte di Guido avrà effetti devastanti per la famiglia Pasolini, soprattutto per la madre, distrutta dal dolore. Il rapporto tra Pier Paolo e la madre diviene così ancora più stretto, anche a causa del ritorno del padre dalla prigionia in Kenia:

Nel 1945 Pasolini si laurea discutendo una tesi intitolata "Antologia della lirica pascoliniana (introduzione e commenti) e si stabilisce definitivamente in Friuli. Qui trova lavoro come insegnante in una scuola media di Valvassone, in provincia di Udine.

In questi anni comincia la sua militanza politica. Nel 1947 si avvicina al PCI, cominciando la collaborazione al settimanale del partito "Lotta e lavoro". Diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa, ma non viene visto di buon occhio nel partito e, soprattutto, dagli intellettuali comunisti friulani. Le ragioni del contrasto sono linguistiche. Gli intellettuali "organici" scrivono servendosi della lingua del novecento, mentre Pasolini scrive con la lingua del popolo senza fra l'altro cimentarsi per forza in soggetti politici. Agli occhi di molti tutto ciò risulta inammisibile: molti comunisti vedono in lui un sospetto disinteresse per il realismo socialista, un certo cosmopolitismo, e un'eccessiva attenzione per la cultura borghese.

Questo, di fatto, è l'unico periodo in cui Pasolini si sia impegnato attivamente nella lotta politica, anni in cui scriveva e disegnava manifesti di denuncia contro il costituito potere demoscristiano.

Il 15 ottobre del 1949 viene segnalato ai Carabinieri di Cordovado per corruzione di minorenne avvenuta, secondo l'accusa nella frazione di Ramuscello: è l'inizio di una delicata ed umiliante trafila giudiziaria che cambierà per sempre la sua vita. Dopo questo processo molti altri ne seguirono, ma è lecito pensare che se non vi fosse stato questo primo procedimento gli altri non sarebbero seguiti.

E' un periodo di contrapposizioni molto aspre tra la sinistra e la DC, e Pasolini, per la sua posizione di intellettuale comunista e anticlericale rappresenta un bersaglio ideale. La denuncia per i fatti di Ramuscello viene ripresa sia dalla destra che dalla sinistra: prima ancora che si svolga il processo, il 26 ottobre 1949.

Pasolini si trova proiettato nel giro di qualche giorno in un baratro apparentemente senza uscita. La risonanza a Casarsa dei fatti di Ramuscello avra' una vasta eco. Davanti ai carabinieri cerca di giustificare quei fatti, intrinsecamente confermando le accuse, come un'esperienza eccezionale, una sorta di sbandamento intellettuale: ciò non fa che peggiorare la sua posizione: espulso dal PCI, perde il posto di insegnante, e si incrina momentaneamente il rapporto con la madre. Decide allora di fuggire da Casarsa, dal suo Friuli spesso mitizzato e insieme alla madre si trasferisce a Roma.

I primi anni romani sono dificilissimi, proiettato in una realtà del tutto nuova e inedita quale quella delle borgate romane. Sono tempi d'insicurezza, di povertà, di solitudine.

Pasolini, piuttosto che chiedere aiuto ai letterati che conosce, cerca di trovarsi un lavoro da solo. Tenta la strada del cinema, ottenendo la parte di generico a Cinecittà, fa il correttore di bozze e vende i suoi libri nelle bancarelle rionali.

Finalmente, grazie al poeta il lingua abbruzzese Vittori Clemente trova lavoro come insegnante in una scuola di Ciampino.

Sono gli anni in cui, nelle sue opere letterarie, trasferisce la mitizzazione delle campagne friulane nella cornice disordinata della borgate romane, viste come centro della storia, da cui prende spunto un doloroso processo di crescita. Nasce insomma il mito del sottoproletariato romano.

Prepara le antologie sulla poesia dialettale; collabora a "Paragone", una rivista di Anna Banti e Roberto Longhi. Proprio su "Paragone", pubblica la prima versione del primo capitolo di "Ragazzi di vita".

Angioletti lo chiama a far parte della sezione letteraria del giornale radio, accanto a Carlo Emilio Gadda, Leone Piccioni e Giulio Cartaneo. Sono definitivamente alle spalle i difficili primi anni romani. Nel 1954 abbandona l'insegnamento e si stabilisce a Monteverde Vecchio. Pubblica il suo primo importante volume di poesie dialettali: "La meglio gioventu'".

Nel 1955 viene pubblicato da Garzanti il romanzo "Ragazzi di vita", che ottiene un vasto successo, sia di critica che di lettori. Il giudizio della cultura ufficiale della sinistra, e in particolare del PCI, è però in gran parte negativo. Il libro viene definito intriso di "gusto morboso, dello sporco, dell'abbietto, dello scomposto, del torbido.."

La Presidenza del Consiglio (nella persona dell'allora ministro degli interni, Tambroni) promuove un'azione giudiziaria contro Pasolini e Livio Garzanti. Il processo da' luogo all'assoluzione "perche' il fatto non costituisce reato". Il libro, per un anno tolto alle librerie, viene dissequestrato. Pasolini diventa però uno dei bersagli preferiti dai giornali di cronaca nera; viene accusato di reati al limite del grottesco: favoreggiamento per rissa e furto; rapina a mano armata ai danni di un bar limitrofo a un distributore di benzina a S. Felice Circeo.
La passione per il cinema lo tiene comunque molto impegnato. Nel 1957, insieme a Sergio Citti, collabora al film di Fellini, "Le notti di Cabiria", stendendone i dialoghi nella parlata romana, poi firme sceneggiature insieme a Bolognini, Rosi, Vancini e Lizzani, col quale esordisce come attore nel film "Il gobbo" del 1960.
In quegli anni collabora anche alla rivista "Officina" accanto a Leonetti, Roversi, Fortini, Romano', Scalia. Nel 1957 pubblica i poemetti "Le ceneri di Gramsci" per Garzanti e, l'anno successivo, per Longanesi, "L'usignolo della Chiesa cattolica". Nel 1960 Garzanti pubblica i saggi "Passione e ideologia", e nel 1961 un altro volume in versi "La religione del mio tempo".

Nel 1961 realizza il suo primo film da regista e soggettista, "Accattone". Il film viene vietato ai minori di anni diciotto e suscita non poche polemiche alla XXII mostra del cinema di Venezia. Nel 1962 dirige "Mamma Roma". Nel 1963 l'episodio "La ricotta" (inserito nel film a più mani "RoGoPaG"), viene sequestrato e Pasolini e' imputato per reato di vilipendio alla religione dello Stato. Nel '64 dirige "Il vangelo secondo Matteo"; nel '65 "Uccellacci e Uccellini"; nel '67 "Edipo re"; nel '68 "Teorema"; nel '69 "Porcile"; nel '70 "Medea"; tra il '70 e il '74 la triologia della vita, o del sesso, ovvero "Il Decameron", "I racconti di Canterbury" e "Il fiore delle mille e una notte"; per concludere col suo ultimo "Salo' o le 120 giornate di Sodoma" nel 1975.

Il cinema lo porta a intraprendere numerosi viaggi all'estero: nel 1961 e', con Elsa Morante e Moravia, in India; nel 1962 in Sudan e Kenia; nel 1963 in Ghana, Nigeria, Guinea, Israele e Giordania (da cui trarrà un documentario dal titolo "Sopralluoghi in Palestina").

Nel 1966, in occasione della presentazione di "Accattone" e "Mamma Roma" al festival di New York, compie il suo primo viaggio negli Stati Uniti; rimane molto colpito, soprattutto da New York. Nel 1968 e' di nuovo in India per girare un documentario. Nel 1970 torna in Africa: in Uganda e Tanzania, da cui trarrà il documentario "Appunti per un'Orestiade africana".

Nel 1972, presso Garzanti, pubblica i suoi interventi critici, soprattutto di critica cinematografica, nel volume "Empirismo eretico".
Essendo ormai i pieni anni settanta, non bisogna dimenticare il clima che si respirava in quegli anni, ossia quello della contestazione studentesca. Pasolini assume anche in questo caso una posizione originale rispetto al resto della cultura di sinistra. Pur accettando e appoggiando le motivazioni ideologiche degli studenti, ritiene in fondo che questi siano antropologicamente dei borghesi destinati, in quanto tali, a fallire nelle loro aspirazioni rivoluzionarie.

Tornando ai fatti riguardanti la produzione artistica, nel 1968 ritira dalla competizione del Premio Strega il suo romanzo "Teorema" e accetta di partecipare alla XXIX mostra del cinema di Venezia solo dopo che, come gli viene garantito, non ci saranno votazioni e premiazioni. Pasolini è tra i maggiori sostenitori dell'Associazione Autori Cinematografici che si batte per ottenere l'autogestione della mostra. Il 4 settembre il film "Teorema" viene proiettato per la critica in un clima arroventato. L'autore interviene alla proiezione del film per ribadire che il film è presente alla Mostra solo per volontà del produttore ma, in quanto autore, prega i critici di abbandonare la sala, richiesta che non viene minimamente rispettata. La conseguenza è che Pasolini si rifiuta di partecipare alla tradizionale conferenza stampa, invitando i giornalisti nel giardino di un albergo per parlare non del film, ma della situazione della Biennale.

Nel 1972 decide di collaborare con i giovani di Lotta Continua, ed insieme ad alcuni di loro, tra cui Bonfanti e Fofi, firma il documentario 12 dicembre. Nel 1973 comincia la sua collaborazione al "Corriere della sera", con interventi critici sui problemi del paese. Presso Garzanti, pubblica la raccolta di interventi critici "Scritti corsari", e ripropone le poesia friulana in una forma del tutto peculiare sotto il titolo di "La nuova gioventu'".

La mattina del 2 novembre 1975, sul litorale romane ad Ostia, in un campo incolto in via dell'idroscalo, una donna, Maria Teresa Lollobrigida, scopre il cadavere di un uomo. Sarà Ninetto Davoli a riconoscere il corpo di Pier Paolo Pasolini. Nella notte i carabinieri fermano un giovane, Giuseppe Pelosi, detto "Pino la rana" alla guida di una Giulietta 2000 che risulterà di proprietà proprio di Pasolini. Il ragazzo, interrogato dai carabinieri, e di fronte all'evidenza dei fatti, confessa l'omicidio. Racconta di aver incontrato lo scrittore presso la Stazione Termini, e dopo una cena in un ristorante, di aver raggiunto il luogo del ritrovamento del cadavere; lì, secondo la versione di Pelosi, il poeta avrebbe tentato un approccio sessuale, e vistosi respinto, avrebbe reagito violentemente: da qui, la reazione del ragazzo.

Il processo che ne segue porta alla luce retroscena inquietanti. Si paventa da diverse parti il concorso di altri nell'omicidio ma purtroppo non vi sarà arriverà mai ad accertare con chiarezza la dinamica dell'omicidio. Piero Pelosi viene condannato, unico colpevole, per la morte di Pasolini.


Il desiderio di ricchezza del sottoproletariato romano


Li osservo, questi uomini, educati
ad altra vita che la mia: frutti
d'una storia tanto diversa, e ritrovati,
quasi fratelli, qui, nell'ultima forma
storica di Roma. Li osservo: in tutti
c'è come l'aria d'un buttero che dorma
armato di coltello: nei loro succhi
vitali, è disteso un tenebrore intenso,
la papale itterizia del Belli,
non porpora, ma spento peperino,
bilioso cotto. La biancheria, sotto,
fine e sporca; nell'occhio, l'ironia
che trapela il suo umido, rosso,
indecente bruciore. La sera li espone
quasi in romitori, in riserve
fatte di vicoli, muretti, androni
e finestrelle perse nel silenzio.
È certo la prima delle loro passioni
il desiderio di ricchezza: sordido
come le loro membra non lavate,
nascosto, e insieme scoperto,
privo di ogni pudore: come senza pudore
è il rapace che svolazza pregustando
chiotto il boccone, o il lupo, o il ragno;
essi bramano i soldi come zingari,
mercenari, puttane: si lagnano
se non ce n'hanno, usano lusinghe
abbiette per ottenerli, si gloriano
plautinamente se ne hanno le saccocce
piene.
Se lavorano - lavoro di mafiosi
macellari,
ferini lucidatori, invertiti commessi,
tranvieri incarogniti, tisici ambulanti,
manovali buoni come cani - avviene
che abbiano ugualmente un'aria di ladri:
troppa avita furberia in quelle vene...

Sono usciti dal ventre delle loro madri
a ritrovarsi in marciapiedi o in prati
preistorici, e iscritti in un'anagrafe
che da ogni storia li vuole ignorati...
Il loro desiderio di ricchezza
è, così, banditesco, aristocratico.
Simile al mio. Ognuno pensa a sé,
a vincere l'angosciosa scommessa,
a dirsi: "È fatta," con un ghigno di re...
La nostra speranza è ugualmente
ossessa:
estetizzante, in me, in essi anarchica.
Al raffinato e al sottoproletariato spetta
la stessa ordinazione gerarchica
dei sentimenti: entrambi fuori dalla
storia,
in un mondo che non ha altri varchi
che verso il sesso e il cuore,
altra profondità che nei sensi.
In cui la gioia è gioia, il dolore dolore.
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 10/5/2011, 20:28     +1   -1




Cronologia della vita e delle opere di Guido Guinizzelli

IO VOGLIO DEL VER LA MIA DONNA LAUDARE

Io voglio del ver la mia donna laudare
ed asembrarli la rosa e lo giglio:
più che stella dïana splende e pare,
e ciò ch'è lassù bello a lei somiglio.

Verde river' a lei rasembro e l'âre,
tutti color di fior', giano e vermiglio,
oro ed azzurro e ricche gioi per dare:
medesmo Amor per lei rafina meglio.

Passa per via adorna, e sì gentile
ch'abassa orgoglio a cui dona salute,
e fa 'l de nostra fé se non la crede;

e no 'lle po' apressare om che sia vile;
ancor ve dirò c'ha maggior vertute:
null'om po' mal pensar fin che la vede.

Guido Guinizzelli

Figura misteriosa, della quale restano tuttora incerte la data di nascita (intorno al 1230) e quella di morte (forse il 1276), nonché la sicura identità storica, il bolognese Guido Guinizzelli occupa un posto rilevante nella nostra storia letteraria e in particolare all’interno del genere della lirica d’amore, presto divenuto dominante.

Attivo nel terzo quarto del Duecento, egli indica infatti la possibilità stilistica e ideologica assai diversa da quella praticata con successo, e vasto seguito, quasi negli stessi anni, da Guittone d’Arezzo. La differenza è tanto più significativa, perché Guinizzelli ha in comune con Guittone sia il genere letterario (e dunque i temi generali) sia la tradizione: quella della poesia d’amore provenzali e della Scuola siciliana.

La novità di Guinizzelli fu comunque percepita con prontezza sia dai guittoniani (Bonagiunta da Lucca gliela rimproverò in un sonetto), sia dagli scrittori soprattutto fiorentini della generazione più giovane, i quali non esitarono a farne il maestro del loro Stil novo.

Il canzoniere guinizzelliano è composto da venti soli testi integri 444g68e (cinque canzoni e quindici sonetti). Alcune prove, con ogni probabilità le più antiche, attestano un esordio secondo il gusto di Guittone e dei siculo-toscani; in un sonetto (scritto dopo il 1265) Guinizzelli si rivolge a Guittone con rispetto chiamandolo “padre” e “maestro”. La svolta poetica deve essere intervenuta successivamente, e legata quindi agli ultimi anni di attività del poeta. La nuova poetica evidenzia una semplificazione dello stile, che abbandona i modi ricercati della preziosa retorica guittoniana dell’ars dictandi, aspirando al linguaggio “dolce e leggiadro” che incontrerà le lodi di Dante. D’altra parte, alla limpidezza stilistica corrisponde un maggior impegno strutturale e dottrinario (soprattutto nella canzone “Al cor gentile rempaira sempre amore”). L’accusa di intellettualismo rivolta da Bonagiunta a Guinizzelli dipende semplicemente dalla mutata collocazione, nella poesia di quest’ultimo, dell’impegno intellettuale rispetto alla tradizione guittoniana. Mentre il preziosismo retorico e linguistico dei siculo-toscani si rivolge ad un pubblico borghese educato alle diffuse discipline della retorica, l’impegno intellettuale richiesto dai testi guinizzelliani esige un lettore esperto di questioni dottrinarie e filosofiche, capace di individuare riferimenti e allusioni retoriche; insomma un lettore di cultura universitaria (e non a caso Guinizzelli vive nella più prestigiosa città universitaria del tempo: Bologna). La novità guinizzelliana riguarda perciò anche la ricezione: la sua poesia non si rivolge al più potenziale vasto pubblico borghese della civiltà comunale, ma a una stretta cerchia, la nascente aristocrazia intellettuale che costituirà il nuovo pubblico eletto degli stilnovisti toscani. Anche in relazione al pubblico la svolta guinizzelliana disegna perciò già lo scenario specifico dello Stil novo.

Questa indubbia affinità con la futura nuova scuola della lirica d’amore si registra anche nei temi tipici della poesia guinizzelliana: l’identità di amore e di cuore nobile, la caratterizzazione angelica della donna, la lode dell’amata (come nel sonetto “Io voglio del ver la mia donna laudare”). Tali temi non sono in sé stessi nuovi, né in Guinizzelli ne negli stilnovisti toscani; ma è nuovo in entrambi il rigoroso inserimento di tali temi in un sistema teorico capace di organizzare con coerenza le scelte strutturali, lessicali, stilistiche, metaforiche, ecc. il rigore e la consapevolezza razionale e la tendenziale trasparenza linguistica, cioè le due maggiori novità della poesia guinizzelliana, si rivelano perciò strettamente congiunte e reciprocamente funzionali. Anche la predilezione per i temi ricavai dal mondo scientifico e naturale, già tipica dei Siciliani, è al servizio del taglio dimostrativo dei testi.

Quel che poi impedisce di collocare Guinizzelli entro le coordinate dello stilnovismo propriamente detto è innanzitutto la mancata partecipazione all’ambiente culturale della sua affermazione, l’estraneità rispetto alla cerchia degli “avanguardisti” toscani di pochi anni dopo. Inoltre la concezione guinizzelliana della donna e dell’amore risulta, rispetto a quella rigorosamente canonizzata degli stilnovisti, maggiormente aperta e disponibile a sviluppi anche profani e terreni. Anche per questa ragione, la funzione storica di mediatore tra i siculo-toscani e gli stilnovisti non esaurisce il signifiacato della poesia di Guinizzelli, forte di una sua individualità artisitica tutt’altro che marginale.


Edited by fiordiloto_1969 - 18/7/2011, 11:28
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 12/5/2011, 12:45     +1   -1




EUGENIO MONTALE




Eugenio Montale (1896 - 1981) è stato un poeta e giornalista italiano. Ha inoltre ricevuto il premio Nobel per la letteratura nel 1975.
Montale è un uomo schivo e distaccato, dichiara più volte di scrivere solo per sè stesso, la sua è una poesia spontanea volta a testimoniare la condizione dell'uomo nel Novecento.
Le principali raccolte di poesie di Eugenio Montale sono Ossi di seppia, Le occasioni, Xenia e Satura

Eugenio Montale, uno dei massimi poeti italiani, nasce a Genova il 12 ottobre 1896 nella zona di Principe. La famiglia commercia prodotti chimici (il padre era curiosamente fornitore dell'azienda dello scrittore Italo Svevo). Eugenio è ultimo di sei figli.
Trascorre l'infanzia e la sua giovinezza tra Genova e lo splendido paese di Monterosso al Mare, nelle Cinque Terre, dove la famiglia è solita recarsi in vacanza.
Frequenta l'istituto tecnico commerciale e si diploma in Ragioneria nel 1915. Tuttavia Montale coltiva i propri interessi letterari, frequentando le biblioteche della sua città e assistendo alle lezioni private di filosofia della sorella Marianna.

La sua è una formazione da autodidatta: Montale scopre interessi e vocazione attraverso un percorso senza condizionamenti. Le lingue straniere e la letteratura (ha un amore speciale per Dante) sono la sua passione. Negli anni tra il 1915 e il 1923 inoltre studia musica insieme al baritono Eugenio Sivori.

Entra all'Accademia militare di Parma dove richiede di essere inviato al fronte, e dopo una breve esperienza in Vallarsa e Val Pusteria, Montale viene congedato nel 1920.
Questi sono gli stessi anni in cui il nome di D'Annunzio è conosciuto in tutta la nazione.

Terminata la prima guerra mondiale Montale inizia a frequentare i circoli culturali liguri e torinesi. Nel 1927 si trasferisce a Firenze dove collabora con l'editore Bemporad. Nella capitale toscana gli anni precedenti erano stati fondamentali per la nascita della poesia italiana moderna. Le prime liriche di Ungaretti per "Lacerba", e l'accoglienza di poeti come Cardarelli e Saba presso gli editori fiorentini avevano gettato le basi di un profondo rinnovamento culturale che neppure la censura fascista avrebbe potuto spegnere. Montale entra in punta di piedi nell'officina della poesia italiana con un "signor biglietto da visita", l'edizione degli "Ossi di Seppia" del 1925.

Nel 1929 è chiamato a dirigere il Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux, dal quale verrà espulso nel 1938 per antifascismo. Nel frattempo collabora con la rivista "Solaria", frequenta il circolo letterario del caffè delle "Giubbe Rosse" - dove tra gli altri conosce Gadda e Vittorini - e scrive per quasi tutte le nuove riviste letterarie che nascono e muoiono in quegli anni.

Mentre la sua fama di poeta cresce, si dedica anche a traduzioni di poesie e testi teatrali, in prevalenza inglesi.
Terminata la Seconda Guerra mondiale si iscrive al Partito d'Azione e inizia un'intensa attività con varie testate giornalistiche. Nel 1948 si trasferisce a Milano dove inizia la sua collaborazione con il Corriere della Sera, per conto del quale compie molti viaggi e si occupa di critica musicale.
Montale raggiunge fama internazionale, attestata dalle numerose traduzioni in svariate lingue delle sue poesie.
Nel 1967 viene nominato senatore a vita.
Nel 1975 arriva il riconoscimento più importante: il Premio Nobel per la Letteratura.

Muore a Milano il 12 settembre 1981, poco prima di compiere 85 anni, nella clinica San Pio X dove si trovava ricoverato per problemi conseguenti a una vascolopatia cerebrale. Viene sepolto accanto alla moglie Drusilla nel cimitero vicino alla chiesa di San Felice a Ema, sobborgo nella periferia sud di Firenze.




Felicità raggiunta, si cammina


Felicità raggiunta, si cammina
per te su fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.

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"Spesso il male di vivere ho incontrato"


Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 18/5/2011, 10:03     +1   -1




EMILY DICKINSON




Nata il 10 dicembre 1830 ad Amherst (Massachusetts) Emily Elizabeth Dickinson, secondogenita di Edward Dickinson, stimato avvocato destinato a diventare deputato del Congresso, e di Emily Norcross, donna dalla personalità fragile, ricevette dalla famiglia un'educazione piuttosto libera e completa per la sua epoca.

Dal 1840 al 1947 frequenta la Amherst Academy e successivamente si iscrive alle scuole superiori di South Hadley da cui viene ritirata dal padre dopo un anno. Manifesta un carattere contraddittorio e complesso, venato da una fierezza irriducibile. Per motivi tuttora non chiari a soli ventitrè anni decide di scegliere una vita solitaria e appartata. I numerosi studiosi che dopo la sua morte ebbero a interrogarsi sulle vere ragioni di questa sua lunga e ostinata segregazione, giunsero alla pressoché unanime conclusione che non poteva trattarsi di "delusioni d'amore", né tanto meno di invalidità fisica.
Rimane quindi irrisolto il mistero Emily Dickinson, affidato all'insondabilità della sua coscienza più profonda.

Gli studi della grande poetessa si svolgono per lo più come autodidatta, orientata nelle letture anche da un assistente del padre, Benjamin Newton, con il quale resterà in seguito in corrispondenza. Scrivere lettere sarà un'attività fondamentale per la poetessa, un modo intimo per entrare in contatto coni il mondo: non a caso molte delle sue poesie verranno allegate ad esse.
Nel 1852 conosce Susan Gilbert, con la quale stringe un forte legame, testimoniato da importanti lettere.

Nel corso degli anni successivi compie qualche raro viaggio. Incontra il reverendo Charles Wadsworth, un uomo sposato, del quale (a quanto pare) si innamorerà vanamente.
Nel 1857 fa un altro importante incontro, quello con lo scrittore e filosofo trascendalista Ralph Waldo Emerson, ospite di Austin e Susan, sposi da pochi mesi.

La poetessa entra in amicizia con Samuel Bowles, direttore dello "Springfield Daily Republican" giornale su cui appariranno (a partire dal 1861) alcune sue poesie. Conosce anche Kate Anton Scott. Sia con Bowles sia con quest'ultima stabilisce un profondo rapporto, personale ed epistolare, come d'abitudine per la sensibile Emily. La casa dei Dickinson è praticamente il centro della vita culturale del piccolo paese, dunque uno stimolo continuo all'intelligenza della poetessa, che in questo periodo incomincia a raccogliere segretamente i propri versi in fascicoletti.

Il 1860 è l'anno del furore poetico e sentimentale. Compone qualcosa come circa quattrocento liriche e si strugge vanamente per un amore che gli storici della letteratura identificano con Bowles. Nello stesso anno avvia una corrispondenza con il colonnello-scrittore Thomas W. Higginson, a cui si affida per un giudizio letterario: egli rimarrà impressionato dall'eccezionalità dello spirito, dell'intelligenza e del genio della poetessa, pur ritenendo "impubblicabili" le sue opere. D'altronde ella non intese mai dare alle stampe i propri versi.

Tra il 1864 e il 1865 Emily Dickinson trascorre alcuni mesi a Cambridge, Massachusetts, ospite delle cugine Norcross, per curare una malattia agli occhi. La tendenza ad autorecludersi si acuisce sempre di più, diminuendo i contatti umani, soprattutto quelli meramente superficiali.
Mantiene invece viva la corrispondenza con amici ed estimatori, divenendo sempre più esigente e cercando, a un tempo, intensità ed essenzialità.

Intanto continua a scrivere poesie. La sua produzione, pur non raggiungendo la quantità del 1862, rimane cospicua.
Nel 1870 riceve la prima visita, molto attesa, di Higginson, che tornerà a trovarla nel 1873.

A partire dall'anno successivo inizia un periodo durissimo. Vede infatti scomparire nel giro di pochi anni prima il padre, poi l'amato Bowles (nello stesso periodo in cui la madre aveva fra l'altro sviluppato una grave malattia). Fortunatamente sembra che verso la fine del 1879 (l'anno prima era appunto morto Bowles), Emily si riprenda grazie ad un nuovo amore, quello per Otis Lord, un anziano giudice, vedovo, amico del padre, anche se molte perplessità rimangono sulla loro misteriosa relazione, frutto più di ricostruzioni e congetture.

Intanto può anche godere dell'ammirazione della scrittrice Helen Hunt Jackson. Nel 1881 i coniugi Todd si trasferiscono ad Amherst: Mabel Todd diventerà l'amante di Austin, creando dissidi nella famiglia Dickinson.
La catena delle tragedie riprende: muoiono la madre a Wadsworth (1882), l'amatissimo nipotino Gilbert (1883) ed il giudice Lord (1884).
Emily è prostrata. Nel 1885 si ammala; muore il 15 maggio 1886 nella casa di Amherst.

La sorella Vinnie scopre i versi nascosti e incarica Mabel Todd di provvedere alla loro pubblicazione, che sarà sempre parziale fino all'edizione critica completa del 1955 curata da Thomas H. Johnson e comprendente 1775 poesie.
Una rivelazione editoriale che, grazie all'enorme potenza sensitiva, mentale e metafisica della poesia di Emily Dickinson, ha dato il via ad un vero e proprio fenomeno di cul
to.


NON AVESSI MAI VISTO IL SOLE

Non avessi mai visto il sole

avrei sopportato l'ombra

ma la luce ha aggiunto al mio deserto

una desolazione inaudita.






TANTI DICONO DI NOTTE BUONANOTTE

Tanti dicono di notte buonanotte:

io dico buonanotte quando è giorno.

Mi dice arrivederci chi va via.

Rispondo ancora buonanotte, io.

Perchè il distacco, quello si è la notte,

e la presenza, nient'altro che l'alba:

quel colore di porpora nel cielo

che si chiama mattino.





 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 24/5/2011, 10:23     +1   -1




MASSIMO FERETTI




Biografia

Massimo Ferretti nasce il 13 febbraio 1935 a Chiaravalle, nelle Marche, da una famiglia della media borghesia. Il padre Aurelio è geometra e la madre Jole è maestra elementare. Nel 1939 nasce Maurizio, unico fratello, compagno di giochi e poi confidente di una vita. A sette anni Ferretti comincia ad avvertire i sintomi di una grave malattia: l’endocardite reumatica, una disfunzione cardiaca che si manifesta con forti dolori al petto e febbre altissima, che lo costringerà a continui ricoveri in ospedale e lunghi periodi a letto. Nel 1942 anche a Chiaravalle la guerra si fa sentire attraverso feroci e distruttivi bombardamenti. La famiglia Ferretti è costretta a sfollare in un convento nella vicina Belvedere Ostrense (AN). L’impatto con la guerra è terribile per un bambino che deve convivere con la paura, immobile in un letto, ma è in questo periodo che scopre nella scrittura un potere terapeutico che lo aiuta a superare le sue difficoltà. Inizia a scrivere un diario che poi distruggerà a dodici anni in un momento di rabbia. Nel 1951 la famiglia decide di trasferirsi a Jesi, lontana da Chiaravalle pochi chilometri, ma sentita subita estranea da Ferretti. Qui frequenta il ginnasio con scarsi risultati tanto che viene bocciato alla licenza ginnasiale. La sua può essere definita una formazione da autodidatta con letture dei poeti tipici della sua generazione: Rimbaud, Eliot, Montale. Scopre così la sua vocazione poetica ed inizia a comporre versi. Nascono su questo terreno i primi conflitti con il padre, che in parte asseconda la sua vocazione ma predilige per lui studi che lo possano avviare ad una professione con sicuri guadagni. Ancora studente di liceo pubblica il suo primo poemetto (Deoso, Siena, Casa editrice Maia, maggio 1954). L’anno successivo stampa, sempre a proprie spese, una plaquette di versi Allergia (Jesi, Tipografia Civerchia, 1955). In quello stesso anno spedisce le due plaquettes a diverse riviste di letteratura. L’unico a entusiasmarsene è Pier Paolo Pasolini che decide di pubblicarne una scelta su “Officina” (febbraio ’56). Nel novembre del 1957, dietro pressione del padre, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, a Perugia. Nel dicembre dello stesso anno incontra per la prima volta a Roma Pasolini, col quale peraltro aveva già avviato un fitto carteggio. Nell’ottobre del 1959 decide di trasferirsi all’Università di Camerino a causa dei risultati disastrosi che fino a quel momento aveva conseguito a Perugia. A Camerino gli giungerà la terribile notizia del suicidio del cugino venticinquenne. Questa tragedia lo scuoterà al tal punto da diventare materia del suo primo romanzo. Sempre nel ’59 su interessamento di Pasolini pubblica su “Botteghe oscure”, rivista curata da Giorgio Bassani, il poemetto La croce copiativa scritto nel 1957. Esasperato dalle continue bocciature all’università e dagli scontri con il padre, nel 1961 si trasferisce a Roma in cerca di "pane e libertà". Qui vive precariamente presso degli affittacamere scrivendo recensioni per il quotidiano romano “Paese Sera”. Frequenta con moderazione l’ambiente letterario romano, soprattutto amici di Pasolini, tra i quali Attilio Bertolucci, il figlio Bernardo ed Enzo Siciliano. Con questi ultimi partecipa ad un concorso per programmisti RAI, supera sia le prove scritte che quelle orali ma non verrà assunto per mancanza di idoneità fisica. Nel 1962 ottiene un incarico professionale presso la casa editrice Longanesi per un periodo piuttosto breve, contemporaneamente inizia la sua collaborazione alla pagina culturale de “Il Giorno” che durerà fino al novembre del 1963. Nello stesso anno si trasferisce in un piccolo appartamentino acquistato per lui dal padre nel quartiere Montesacro. Qui si dedica alla stesura già avviata del suo primo romanzo Rodrigo. In questi anni si dedica inoltre alla revisione delle sue poesie che, in un’edizione comprendente componimenti poetici scritti fino al ’62, riuscirà a pubblicare nel febbraio del ’63, sempre con il titolo di Allergia presso la casa editrice Garzanti. Pochi mesi più tardi, in maggio, viene pubblicato sempre da Garzanti anche Rodrigo. Nell’agosto del ’63 vince il premio Viareggio “opera prima” nella sezione poesia. Nell’ottobre partecipa a Palermo al primo convegno del Gruppo ’63 dove legge un capitolo del suo nuovo romanzo, iniziato nel dicembre dell’anno precedente e ancora in fase di elaborazione. Con l’adesione al Gruppo 63 si rovinano irrimediabilmente i rapporti con Pasolini, mentre inizia a frequentare Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani e stringe una profonda amicizia con Antonio Porta, testimoniata da un breve e fitto carteggio. Nel 1964 partecipa in veste di spettatore al secondo convegno del Gruppo 63 che si tiene a Reggio Emilia. Nel 1965 è costretto a ritornare a Jesi a causa dell’improvvisa scomparsa del padre e dalla necessità di proseguire l’attività commerciale ereditata insieme al fratello. Nell’aprile del ‘65 decide di pubblicare Il gazzarra presso la casa editrice Feltrinelli, casa editrice ufficiale del Gruppo 63, causando la definitiva rottura con Pasolini. A settembre, nello stesso mese dell’uscita de Il gazzarra, partecipa al terzo convegno del Gruppo’63 a Palermo in cui si discutono le problematiche del romanzo sperimentale. Torna dal convegno deluso per la tiepida - in alcuni casi assente - attenzione dedicata al suo romanzo. Deluso dalla critica, dal mondo letterario in genere e da quello editoriale che pensa all’opera letteraria solo in termini di mercato, decide di ritirarsi dall’attività di scrittore e dedicarsi esclusivamente alla sua attività commerciale nel settore dei prefabbricati edilizi. Nel 1966 inizia a studiare sistematicamente la lingua inglese; nel luglio-agosto dell’anno successivo soggiorna a Londra per perfezionarne la conoscenza. Nella primavera del 1968, sentendo il commercio come una costrizione alla sua vocazione letteraria, lascia Jesi e torna definitivamente a Roma dove inizia l’attività di traduttore dall’inglese. Traduce per lo più testi di psicologia e antropologia per la casa editrice Astrolabio dell’editore Ubaldini di Roma, tranne un romanzo di Christine Brooke-Rose: Tra, pubblicato da Feltrinelli nel 1971. All’insaputa di tutti inizia la stesura di un nuovo romanzo Trunkful. Scrive i primi tre capitoli ma, probabilmente viene interrotto dalla morte che arriva improvvisa, nel sonno, nella notte del 20 novembre 1974, nella sua casa di Roma. La salma viene traslata due giorni dopo nel cimitero di Jesi. Nel decennale della scomparsa il Comune di Chiaravalle gli dedica una mostra documentaria. Nel 1986 Massimo Raffaeli ne cura l’epistolario che dà alle stampe insieme ad altri inediti rinvenuti nel Fondo di Ferretti conservato presso il fratello Maurizio. Nel 1992 viene ristampato Il gazzarra con prefazione di Alfredo Giuliani (Firenze, Ponte alle grazie) e nel 1993 a cura di Massimo Raffaeli viene ristampato anche il primo romanzo (Ripatransone, Sestante). Nel ventennale della morte di Massimo Ferretti viene a lui intestata la Biblioteca Civica di Chiaravalle e viene stampato un catalogo delle sue opere a cura di Francesco Scarabicchi (I passi consegnati, Brescia, Edizioni l’Obliquo). Sempre nel 1994 viene finalmente ristampato, per le edizioni Marcos y Marcos, anche il volume Allergia con postfazione di Massimo Raffaeli. Nello stesso anno Giorgio Manacorda pubblica una scelta di lettere inedite del suo ‘periodo romano’ nell’annuario Poesia’94 edito da Castelvecchi. Nel 1997 a Chiaravalle viene rappresentata per la prima volta una riduzione teatrale delle opere di Massimo Ferretti a cura di Antonello Nave intitolata Sopra il cuore. Nel 2005 esce la prima monografia a lui dedicata dal titolo Fuori dal coro. L’opera di Massimo Ferretti scritta da Elisabetta Pigliapoco per la casa editrice peQuod di Ancona.



da ALLERGIA


In trattoria


In questa trattoria di gente stanca
dove mangiare significa reagire,
dove la grazia d’una dattilografa
si percepisce nel tono delicato
d’un piatto di fagioli chiesto tiepido,
dove un viaggiatore analfabeta
emancipato per via dello stipendio
spiega a una turista anacoreta
che il rialzo dei biglietti ferroviari
dipende tutto da questioni atlantiche –
non ho ragione d’essere contento
se il cameriere lieto della mancia,
leggendo la commedia del mio viso
m’ha detto che ho una maschera da negro?

In questa trattoria di gente ottica
dove non so salvarmi dagli sguardi,
condannato al sentimento della morte,
serrato tra furore e timidezza
non ho ragione d’essere felice
quando divoro una bistecca che fa sangue?

Il mio complesso è una tragedia antica:
devo scrivere e vorrei ballare.


*

I colori del gelo

Nella mia vita il viaggio resta il segno
di ciò che doveva essere la vita
se l’avessi capita troppo tardi.
Ma ho capito tutto troppo presto
e ogni viaggio è uno spostamento
da una solitudine a un silenzio:
da un’attesa a un tacito possesso.

Non posso non fermarmi al corridoio
d’un rapido treno della notte,
pieno di tedeschi d’ogni sesso
e di reclutare del nostro nuovo esercito.

– Dal congedo delle insegne luminose
dal patetico gergo dei consigli
salva, frau, questo provinciale!:
la tenerezza che sale da un abisso
è una luce che mi fa tremare,
la rivolta d’un reietto è una canzone,
il sole è il calore d’un relitto.

Sì, questa notte non sono entrato
perché sono un maschio in borghese
e non sono più un ragazzo
("militari e ragazzi metà prezzo"):
sarò un alpino e avrò una penna nera,
non starò più attaccato a un finestrino
a decifrare teoremi neutrali
su estetiche statali e militari.

L’esercito amava alle mie spalle,
ma io non sono un soldato dell’esercito:
io sono un soldato della vita
e stanotte ho giocato una partita
molto più dura di quelle che faranno
i soldati che stanotte ti hanno avuta
e quelli che dormivano beati
nelle scomode amache improvvisate
con le retine dei portabagagli
e quelli incastrati nei sedili
tra tedeschi saturi di birra
e l’incenso dei piedi senza scarpe.

Davanti al vetro in cui ti specchi
per pettinare in pace i tuoi capelli
e mi chiedi perché non sono entrato
e mi dici che sarò un alpino,
stanotte ho guardato il mio destino.

La mia provincia verde di colline
la mia valle torbida di nebbia
il paese dove sono nato
la casa che mi ha cresciuto –
tornarono nel buio del paesaggio
che il treno divorava nella corsa:
venivo da loro e a loro ritornavo,
ma loro non mi offrivano la vita:
m’offrivano il teatro di me stesso
per monologare all’infinito
lucindando l’archivio degli errori,
vitali colori del mio gelo.
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 30/5/2011, 13:36     +1   -1




OSCAR WILDE





BIOGRAFIA

Oscar Wilde (Dublino 1854 - Parigi 1900) è stato probabilmente il maggior esponente dell'estetismo letterario, che tentò di definire come la ribellione dell'artista alle brutture del mondo moderno, e può essere compreso nel quadro più grande del decadentismo di fine secolo. Suo padre fu un celebre oculista ed antiquario, mentre sua madre si impegnò politicamente per ottenere l'indipendenza irlandese. Oscar si laureò brillantemente ad Oxford, presso il Trinity College, già in fama di poeta. Rimasto celebre per i suoi aforismi, oltre che per le sue usanze stravaganti, che portarono un certo scandalo tra i benpensanti dell'epoca, e per le quali era frequentemente messo in ridicolo su giornali satirici come il Punch (ma che gli ottennero anche un ciclo di conferenze in America), in realtà rappresenta uno scrittore che ha cercato di vivere con assoluta libertà di artista. Nelle opere più mature, l'estetismo si fonde con apparenze simboliche, prese dalla cultura francese, e mostra l'interesse per uno sviluppo puramente dialogico delle argomentazioni, arrivando a sostenere che è la natura ad imitare l'arte, e non viceversa, in una reazione alla cupa visione didascalica della letteratura vittoriana, fino ad arrivare paradossalmente ad idee vicine al socialismo nel suo disprezzo per la società delle macchine.
E' molto noto il suo teatro, che porta a maggiori raffinatezze ed umorismo il genere boulevardier in voga all'epoca (Sardou e Dumas figlio): sono molto note Il ventaglio di Lady Windermere, 1893), e specialmente L'importanza di chiamarsi Ernesto (1895). mentre un significativo manifesto del suo estetismo decadente rimane il suo romanzo Il ritratto di Dorian Gray (1891), racconto della seduzione operata dal nobile Lord Henry Wotton sul giovane Dorian che passa tra le peggiori dissolutezze, sempre restando giovane di lineamenti, ma trasferendo lo sfascio della sua vecchiaia su un ritratto che Dorian coserva in soffitta. Di tendenze omosessuali, benché sposato con due figli, fu in carcere per due anni a Reading, dal 1895 al 1897, ove si ispirò per la sua opera poetica Ballata del carcere di Reading (1898), che risplende di una pietà nuova per l'umanità sofferente: si avvicinò al cattolicesimo nell'anno della morte, anche per un soggiorno di pochi mesi a Roma, e fu battezzato il giorno prima di morire a Parigi. (c) Carlo Santulli


La grazia in qualche modo

La grazia in qualche modo, il fiore delle cose sfugge
a noi, i più miseri di tutti, i più infelici.
Noi che per pietà dobbiamo
vivere la vita di altri non la nostra. E poi distruggerla
con tutto dentro. Era ben diverso
quando l'anima e corpo pareva si fondssero
in sinfonie mistiche.




Eppure primavera è nell'aria

Pieno inverno: il contadino vigoroso
Trasporta le fascine della legnaia gelida
e batte i piedi contro il focolare.
Sul fuoco che langue getta i ceppi freschi
e ride perché la vampata spaventa
i suoi bambini. Eppure, primavera è nell'aria.
Cinta di erba gioia, verde sorridente.
E avanti indietro per il campo va il seminatore
e dietro a lui ridendo un ragazzino spaventa i corvi
Rapaci, coi suoi strilli. Allora il castagno si veste
Splendidamente, e sull'erba si iega il fiore cremoso
In eccesso odoroso.
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 6/6/2011, 10:54     +1   -1





Giorgio Caproni

Moderna poesia



Nato il 7 Gennaio 1912 a Livorno, Giorgio Caproni è stato senza alcun dubbio uno dei massimi poeti del Novecento. Di origini modeste, il padre Attilio è ragioniere e la madre, Anna Picchi, sarta. Giorgio scopre precocemente la letteratura attraverso i libri del padre, tanto che a sette anni scova nella biblioteca paterna un'antologia dei Poeti delle Origini (i Siciliani, i Toscani), rimanendone irrimediabilmente affascinato e coinvolto. Nello stesso periodo si dedica allo studio della Divina Commedia, dalla quale s'ispirò per "Il seme del piangere" e "Il muro della terra".

Nel periodo della Prima Guerra Mondiale si trasferisce insieme alla madre e al fratello Pierfrancesco (più vecchio di lui di due anni) in casa di una parente, Italia Bagni, mentre il padre è richiamato alle armi. Sono anni duri, sia per motivi economici sia per le nefandezze della guerra che lasciano un profondo solco nella sensibilità del piccolo Giorgio.

Finalmente nel 1922 terminano le amarezze, prima con la nascita della sorellina Marcella, poi con quello che sarà l'avvenimento più significativo nella vita di Giorgio Caproni: il trasferimento a Genova, che lui definirà "la mia vera città".
Terminate le scuole medie, s'iscrive all'Istituto musicale "G. Verdi", dove studia violino. A diciotto anni rinuncia definitivamente all'ambizione di diventare musicista e s'iscrive al Magistero di Torino, ma presto abbandona gli studi.

Inizia in quegli anni a scrivere i primi versi poetici: non soddisfatto del risultato ottenuto strappa i fogli gettando via tutto. E' il periodo degli incontri con i nuovi poeti dell'epoca: Montale, Ungaretti, Barbaro. Rimane colpito dalle pagine di "Ossi di seppia", al punto di affermare: "... saranno per sempre parte del mio essere."

Nel 1931 decide di inviare alcuni suoi componimenti poetici alla rivista genovese "Circolo", ma il direttore della testata, Adriano Grande, li rifiuta invitandolo alla pazienza, come a dire che la poesia non era adatta a lui.

Due anni dopo, nel 1933, pubblica le sue prime poesie, "Vespro" e "Prima luce", su due riviste letterarie e, a Sanremo, dove si trova per il servizio militare, coltiva alcune amicizie letterarie: Giorgio Bassani, Fidia Gambetti e Giovanni Battista Vicari. Comincia anche a collaborare con riviste e quotidiani pubblicando recensioni e critiche letterarie.
Nel 1935 inizia ad insegnare alle scuole elementari, prima a Rovegno poi ad Arenzano.

La morte della fidanzata Olga Franzoni nel 1936 dà lo spunto alla piccola raccolta poetica "Come un'allegoria", pubblicata a Genova da Emiliano degli Orfini. La tragica scomparsa della ragazza, causata da setticemia, provoca una profonda tristezza nel poeta come testimoniano molti suoi componimenti di quel periodo, tra cui vanno ricordati i "Sonetti dell'anniversario" e "Il gelo della mattina".

Nel 1938, dopo la pubblicazione di "Ballo a Fontanigorda" per l'editore Emiliano degli Orfini, sposa Lina Rettagliata; sempre nello stesso anno si trasferisce a Roma restandovi solo quattro mesi.
L'anno seguente è richiamato alle armi e nel maggio del 1939 nasce la sua primogenita, Silvana. Allo scoppio della guerra è prima inviato sul fronte delle Alpi Marittime poi in Veneto.
Il 1943 è molto importante per Giorgio Caproni perché vede una sua opera pubblicata da un curatore di rilevanza nazionale. "Cronistoria" vede le stampe presso Vallecchi di Firenze, all'epoca editore fra i più noti.
Anche i fatti della guerra hanno gran rilevanza per la vita del poeta che trascorre, dall'8 settembre alla Liberazione, diciannove mesi in Val Trebbia, in zona partigiana.

Nell'ottobre del 1945 rientra a Roma dove resterà fino al 1973 svolgendo l'attività di maestro elementare. Nella capitale conosce vari scrittori tra cui Cassola, Fortini e Pratolini, e instaura rapporti con altri personaggi della cultura (uno su tutti: Pasolini).
La produzione di questo periodo è basata soprattutto sulla prosa e sulla pubblicazione di articoli relativi a vari argomenti letterari e filosofici. In quegli anni aderisce al Partito Socialista e nel 1948 partecipa a Varsavia al primo "Congresso mondiale degli intellettuali per la pace".

Nel 1949 torna a Livorno alla ricerca della tomba dei nonni e riscopre l'amore per la sua città natia: "Scendo a Livorno e subito ne ho impressione rallegrante. Da quel momento amo la mia città, di cui non mi dicevo più...".

Le attività letterarie di Caproni diventano frenetiche. Nel 1951 si dedica alla traduzione di "Il tempo ritrovato" di Marcel Proust, cui seguiranno altre versioni dal francese di molti classici d'oltralpe.

Intanto la sua poesia si afferma sempre di più: "Stanze della funicolare" vince il Premio Viareggio nel 1952 e dopo sette anni, nel 1959, pubblica "Il passaggio di Enea". Sempre in quell'anno vince nuovamente il Premio Viareggio con "Il seme del piangere".
Dal 1965 al 1975 pubblica "Congedo del viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee", il "Terzo libro ed altre cose" e "Il muro della terra".

E' del 1976 la pubblicazione della sua prima raccolta, "Poesie"; nel 1978 esce un volumetto di poesie intitolato "Erba francese".
Dal 1980 al 1985 vengono pubblicate molte sue raccolte poetiche ad opera di vari editori. Nel 1985 il Comune di Genova gli conferisce la cittadinanza onoraria. Nel 1986 viene pubblicato "Il conte di Kevenhuller".

"La sua poesia, che mescola lingua popolare e lingua colta e si articola in una sintassi strappata e ansiosa, in una musica che è insieme dissonante e squisita, esprime un attaccamento sofferto alla realtà quotidiana e sublima la propria matrice di pena in una suggestiva 'epica casalinga'. Gli accenti di aspra solitudine delle ultime raccolte approdano a una sorta di religiosità senza fede" (Enciclopedia della Letteratura, Garzanti).

Il grande, indimenticabile poeta si è spento il 22 Gennaio del 1990 nella sua casa romana. L'anno dopo veniva pubblicata postuma la raccolta poetica "Res amissa".


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Bibliografia essenziale

Opere:
Come un'allegoria, 1936; Ballo a Fontanigorda, 1938; Finzioni,
1941; Cronistoria, 1943; Il passaggio d'Enea, 1956; Il seme del piangere,
1959; Congedo del viaggiatore cerimonioso, 1965; Il muro della terra, 1975;
Il franco cacciatore, 1982; Il Conte di Kevenhuller, 1986; Res Amissa, 1991;
Poesie (1932-1991), 1995.

"L'ultimo borgo" (Poesie 1932-1978), a cura di Giovanni Raboni, Milano,
Rizzoli, 1980.
"Il franco cacciatore", Milano, Garzanti, 1982.
"Il conte di Kevenhuller", Milano, Garzanti, 1986.
"Poesie"(1932-1986), Milano, Garzanti, 1986 (raccoglie tutte le opere
poetiche tranne Res Amissa).
"Res amissa", a cura di Giorgio Agamben, Milano, Garzanti, 1991.

Raccolta di racconti:
"Il labirinto", Milano, Garzanti, 1984.

prospetto bibliografico e critico:
"Giorgio Caproni" di Adele Dei, Milano, Mursia, 1992, pp. 273.



POESIE


Spiaggia di sera

Così sbiadito a quest'ora
lo sguardo del mare,
che pare negli occhi
(macchie d'indaco appena
celesti)
del bagnino che tira in secco
le barche.

Come una randa cade
l'ultimo lembo di sole.

Di tante risa di donne,
un pigro schiumare
bianco sull'alghe, e un fresco
vento che sala il viso
rimane.


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Per lei

Per lei voglio rime chiare,
usuali: in -are.
Rime magari vietate,
ma aperte: ventilate.
Rime coi suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline,
le tinte delle sue collanine.
Rime che a distanza
(Annina era cosí schietta)
conservino l'eleganza
povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili,
anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 17/6/2011, 21:31     +1   -1




VITTORIA COLONNA




Vittoria Colonna (Marino, aprile 1490 – Roma, 25 febbraio 1547) è stata una poetessa e intellettuale italiana
Appartenente alla nobile famiglia dei Colonna in quanto figlia di Fabrizio Colonna e di Agnese di Montefeltro, dei Duchi di Urbino, ella stessa ebbe il titolo di marchesa di Pescara. I Colonna erano, in quegli anni, alleati della famiglia D’Avalos e, per suggellare tale alleanza, concordarono il matrimonio fra Vittoria e Ferdinando Francesco quando ancora erano bambini. I due si sposarono il 27 dicembre 1509 ad Ischia, nel Castello Aragonese.

Il soggiorno di Vittoria Colonna ad Ischia, dal 1501 al 1536, coincise con un momento culturalmente assai felice per l'isola: la poetessa fu infatti circondata dai migliori artisti e letterati del secolo, tra cui Michelangelo Buonarroti, Ludovico Ariosto, Jacopo Sannazaro, Giovanni Pontano, Bernardo Tasso, Annibale Caro, l'Aretino, Girolamo Britonio e molti altri.

Il matrimonio con D'Avalos, sebbene combinato per servire le politiche di famiglia, riuscì anche dal punto di vista sentimentale, ma i due coniugi non trascorsero molto tempo insieme a Ischia dove si erano stabiliti, perché Ferdinando Francesco nel 1511 partì in guerra agli ordini del suocero per combattere per la Spagna contro la Francia. Fu preso prigioniero in occasione della Battaglia di Ravenna nel 1512 e deportato in Francia. Successivamente, divenne un ufficiale dell’esercito di Carlo V e rimase gravemente ferito durante la Battaglia di Pavia, il 24 febbraio 1525. Vittoria partì subito per raggiungerlo ma la notizia della sua morte la raggiunse mentre era in viaggio. Cadde in depressione e meditò il suicidio ma riuscì a superarla anche grazie alla vicinanza dei suoi amici.

Decise di ritirarsi in convento a Roma e strinse amicizie con varie personalità ecclesiastiche che alimentavano una corrente di riforma all’interno della Chiesa Cattolica, tra cui, soprattutto, Juan de Valdés e Bernardino Ochino.

Non rimase a lungo in pace perché il fratello, Ascanio Colonna, entrò in conflitto con il papa, una prima volta con Clemente VII, ed in tale occasione si trasferì a Marino e poi di nuovo a Ischia e cercò di mediare fra i contendenti. Questo, tuttavia, le evitò di vivere in prima persona la vicissitudine del Sacco di Roma (1527) e le consentì di prestare aiuto alla popolazione e di riscattare prigionieri anche ricorrendo alle proprie sostanze.


La Crocifissione per Vittoria ColonnaRitornata a Roma nel 1531, nel 1535 conobbe Pietro Carnesecchi con cui intrecciò un rapporto di amicizia. In seguito, le venne l’ispirazione di compiere un viaggio in Terra santa per cui si trasferì a Ferrara nel 1537, in attesa di ottenere i permessi dal Papa, con l’intenzione di imbarcarsi da Venezia. Tuttavia non partì: la salute malferma la costrinse a rinunciare all’idea. Nel 1539 rientrò a Roma dove divenne amica di Michelangelo Buonarroti che la stimò enormemente e su cui ebbe una grande influenza.

Mantenne anche per molti anni una stretta corrispondenza epistolare con Michelangelo che nel 1540 le inviò un piccolo quadro, una Crocifissione per la propria cappella privata; i bozzetti della Crocifissione sono attualmente conservati al British Museum di Londra e al Louvre di Parigi: l'artista aveva dipinto soltanto il Cristo, la Vergine e la Maddalena e, quando nel 1547 Vittoria morì, Michelangelo modificò il quadro raffigurando Vittoria come Maddalena. Una copia si trova nella concattedrale di Santa Maria de La Redonda a Logroño.

Nel 1541 il fratello entrò per la seconda volta in conflitto con papa Paolo III, giungendo a fomentare una rivolta. Vittoria, allora, si trasferì a Viterbo dove conobbe il cardinal Reginald Pole.

Nel 1544 rientrò a Roma dove, nel 1547 la colse la morte che, probabilmente, le risparmiò un'inchiesta dell'inquisizione che perseguitò molti dei suoi amici.

Scritti

Le sue opere comprendono poemi d'amore per il marito, le Rime, suddivise in Rime amorose e Rime Spirituali, ispirate allo stile di Francesco Petrarca, e composizioni in prosa di tema religioso tra cui il Pianto sulla passione di Cristo e l’Orazione sull’Ave Maria. Segue un elenco essenziale di alcune edizioni degli scritti di Vittoria Colonna, a cominciare da quelle pubblicate come poetessa ancora in vita:

Rime de la diuina Vittoria Colonna, In Parma, Antonio Viotti, 1538; e successive numerosissime edizioni.
Le rime spirituali della illustrissima signora Vittoria Colonna marchesana di Pescara. Non più stampate da pochissime infuori, le quali altroue corrotte, et qui corrette si leggono, In Vinegia, appresso Vincenzo Valgrisi, 1546; e successive edizioni;
Pianto della marchesa di Pescara sopra la passione di Christo. Oratione della medesima, sopra l'Aue Maria. Oratione fatta il Venerdi santo, sopra la passione di Christo, In Venetia, Paolo Manuzio, 1556; e successive edizioni;
Sonetti in morte di Francesco Ferrante d'Avalos marchese di Pescara, edizione del ms. XIII.G.43 della Biblioteca nazionale di Napoli a cura di Tobia R. Toscano, Milano, G. Mondadori, 1998;
Lettere e carteggi

Rime e lettere di Vittoria Colonna, marchesana di Pescara, Firenze, G. Barbera, 1860;
Lettere di Vittoria Colonna tratte da un codice della Capitolar biblioteca di Verona, a cura di Barbara Masutti, Verona, Vicentini e Franchini, 1868;
Lettere inedite di Vittoria Colonna marchesana di Pescara ed altri documenti storici relativi ai Colonnesi, Roma, Tip. Barbera, 1875
Lettere inedite di Vittoria Colonna e Benedetto Varchi, pubblicate con note da Abd-El-Kader Salza, Firenze, Tip. Pei minori corrigendi, 1898;
Nuove lettere inedite di Vittoria Colonna, a cura di Pietro Tacchi-Venturi, Roma, tip. Poliglotta, 1901;
Carteggio di Vittoria Colonna marchesa di Pescara, raccolto e pubblicato da Ermanno Ferrero e Giuseppe Muller, Torino, E. Loescher, 1889;
Bibliografia essenziale

Alessandro Morpurgo, Vittoria Colonna. Cenni storici e letterari, Trieste, Stab. Tip. G. Caprin, 1888;
Alfred von Reumont, Vittoria Colonna marchesa di Pescara. Vita, fede e poesia nel secolo decimosesto, versione di Giuseppe Muller ed Ermanno Ferrero, 2. ed., Torino, Firenze, Roma, E. Loescher, 1892;
Guido Cimino, Il crocifisso di Michelangelo per Vittoria Colonna, storia di un ritrovamento, Roma, Cremonese, 1967;
Ettore Bonora " Le donne poetesse" in Storia della letteratura italiana Garzanti, vol.IV 1966
Giuseppe Pietrocola, Vittoria Colonna (1492-1547), Vasto, Histonium, 1993;
Amy A. Bernardy, La vita e l'opera di Vittoria Colonna, Firenze, Felice Le Monnier, 1927;
Isabella Teotochi Albrizzi, Ritratti e Vita di Vittoria Colonna, coi frammenti di un romanzo autobiografico di Ugo Foscolo ; a cura di Tommaso Bozza, Roma, Tumminelli, 1946;
Carlo De Frede, Vittoria Colonna e il suo processo inquisitoriale postumo, Napoli, Giannini, 1989;



Vittoria Colonna
(poetessa italiana, 1490-1547)

- Sonetto XXXVII -

Quanta invidia al mio cor, felici e rare
anime, porge il vostro ardente e forte
nodo, che l'ultime ore a voi di morte
fe' dolci, che son sempre agli altri amare!

Non furo ai bei desir le parche avare
in filar, né più lunghe né più corte
le vostre vite; ond' or con egual sorte
sete vive nel ciel, nel mondo chiare.

Se 'l fuoco sol d'amor legar può tanto
due voglie, or quanto a voi natura e amore,
i corpi quella e questo l'alme cinse

d' immortal fiamma? Oh benedette l'ore
del viver vostro! e più quel lume santo
che sì bel nodo indissolubil strinse!





- Sonetto LXXXII -

Quando 'l gran lume appar nell'oriente,
che 'l negro manto della notte sgombra,
e dalla terra il gelo e la fredd'ombra
dissolve e scaccia col suo raggio ardente:

de' primi affanni, ch' avea dolcemente
il sonno mitigati, allor m' ingombra,
ond' ogni mio piacer dispiega in ombra,
quando da ciascun lato ha l'altre spente.

Così mi sforza la nimica sorte
le tenebre cercar, fuggir la luce,
odiar la vita e desiar la morte.

Quel che gli altri occhi appanna a' miei riluce,
perché, chiudendo lor, s' apron le porte
alla cagion ch' al mio sol mi conduce.





 
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16 replies since 25/4/2011, 18:42   276 views
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