RELIGIONI DI TUTTO IL MONDO, le religioni che conoscete e il loro credo....

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fiordiloto_1969
view post Posted on 26/4/2011, 11:32     +1   -1




BUDDISMO - BUDDA
2 RELIGIONI MONOTEISTE - 2 CIVILTA' con 2 punti di vista opposti


IL BUDDISMO

Il buddismo è una religione fondata da Buddha nell'India settentrionale verso la fine del VI secolo a.C. e divenuta poi una delle religioni mondiali.
Si tratta di una religione originariamente atea, non imperniata cioè sul culto di un dio (Buddha fu contrario ai sacrifici e riti sacri, al predominio dei brahmani a ritenere il sistema delle caste un'istituzione divina), ma su una dottrina morale che propone la salvezza attraverso l'estinzione dei dolore nel nirvana.
Gli insegnamenti di Buddha furono trasmessi dapprima solo oralmente da monaci di diverse regioni nei loro dialetti locali. Le prediche che i quattro concili della tradizione buddista gli attribuirono furono trascritte a Ceylon in lingua pali nel I secolo a.C.
I principali testi sacri detti Tripitaha (i tre canestri) ebbero innumerevoli edizioni e traduzioni.
Grande impulso alla diffusione dei buddismo dette il re Asoka (272-232 a.C.) che ne fece la religione di stato dell'impero indiano.
Dal VII al IX secolo il buddismo andò decadendo sopraffatto dall'induismo indigeno. Gli invasori musulmani fecero il resto.
S'era prorogato, invece, altrove: in Cina, in Birmania e Corea, in Indocina, in Giappone e nel Tibet, dando origine al buddismo tibetano, chiamato comunemente lamaismo.
Le varie sette e scuole buddiste s'incanalarono in due grandi correnti: il Gran Veicolo e il Piccolo Veicolo. Mentre il Piccolo Veicolo, oggi diffuso a Ceylon, in Birmania e in Indocina, sviluppava il lato ascetico e filosofico, più fedele alla dottrina del Buddha, il Grande Veicolo, diffuso nel Tibet, in Cina e in Giappone, coltivò invece il lato mistico e religioso.
Secondo la dottrina del Buddha, dietro i fenomeni non c'è nulla che sia senza principio o senza fine o possieda un'esistenza autonoma: né una materia eterna né anime eterne né un dio eterno.
Nel vortice dell'incessante divenire cosmico i mondi rinascono grazie alla forza delle azioni degli esseri di altri mondi scomparsi.
Nei periodi di decadenza compare i Buddha a illuminare gli uomini. Il processo universale si svolge dunque secondo leggi cosmiche e morali interne.
Il buddismo respinge l'idea di un creatore e di una provvidenza, perché l'onnipotenza, l'onniscienza e la misericordia di Dio non sono compatibili con l'esistenza di un mondo immerso nel dolore e moralmente cattivo né col castigo eterno dei peccatori.
Ciò che accade nel mondo è solo effetto della legge del compenso che si applica automaticamente, senza predilezioni o avversioni personali, punendo tutto ciò che è cattivo e premiando ciò che è
buono.
Da una parte il buddismo nega l'esistenza dell'io individuale, dall'altra ammette un compenso a tutte le azioni attraverso la reincarnazione.
Nella morte gli elementi materiali e spirituali dell'uomo si sciolgono e periscono, ma il flusso della vita cosciente continua, alimentato dal Karman, al di là della morte e costituisce la base per la formazione di un nuovo essere che è diverso dal morto ma è insieme la sua continuazione, l'inevitabile crede delle sue opere.
Partendo dalla constatazione del dolore, di questa perpetua, rinascita-morte-rinascita dell'uomo, il buddismo indica la via della felicità attraverso l'annientamento del dolore.

Sintesi della dottrina buddista sono le quattro sante verità: l'esistenza del dolore, l'origine del dolore, la distruzione del dolore e la via che vi conduce.
La salvezza suprema risiede quindi nell'abolizione di tutte le possibilità di una nuova esistenza individuale. Il fedele deve cercare di raggiungere, uccidendo ogni desiderio e attaccamento alla vita, un'imperturbabilità perfetta, una sublime pace dell'anima.
Tutte le discussioni su Dio, l'anima, l'immortalità non servono alla salvezza. Il buddismo primitivo era destinato a un elite di saggi o di monaci, non poteva soddisfare i bisogni religiosi delle masse.
Lasciando sussistere accanto a questa dottrina i culti di religioni più antiche o introducendo nuove forme di pietà o di rito. Il Grande Veicolo fece di una religione filosofica riservata a pochi una religione universale.
Il buddismo non ha mai richiesto ai suoi seguaci un'adesione e una fede esclusiva, perché considerava valide tutte le altre religioni e non conosce l'intolleranza.


BUDDHA

Buddha o Budda, fondatore del buddismo (Kapilavastu, India,560 – Kusinagava 480 a. C.), di nome Siddharta, apparteneva alla nobile casata dei Sakya, discendente del ramo dei Gautama, per cui gli fu poi dato dai contemporanei il soprannome di asceta Gautama.
Della prima adolescenza e della giovinezza si sa poco dal punto di vista storico: sposò molto giovane una cugina e di sicuro si conosce il nome dei figlio Rabula.
La vista di un vecchio, poi malato e infine di un cadavere durante una passeggiata gli svelò l'ineluttabilità del dolore, della decadenza e della morte e determinò in lui la decisione di darsi a vita ascetica.
All'età di 29 anni, indossava la veste degli asceti indiani, lasciò di notte il palazzo e, seguendo gli insegnamenti del brahmano Arada Kalama e di Udraka Ramaputra, si diede a una rigida vita ascetica.
Ma solo dopo sette anni di penitenze e di meditazione, una notte gli si svelò il mistero della vita e raggiunse l'illuminazione e la conoscenza, che è racchiusa nei quattro principi fondamentali del buddismo.
Da quel momento, divenuto Buddha (lo Svegliato, l'illuminato), dopo non poche incertezze, iniziò la predicazione e la divulgazione della nuova verità.
Attività che continuò per circa quarant'anni, seguito da numerosi discepoli (prediletto fra tutti , Ananda) e attirando numerose schiere di seguaci.
All'età di ottant'anni, quando sentì prossima la morte, pregò il discepolo prediletto di preparargli un giaciglio sotto un albero e ai discepoli che piangevano rivolse gli ultimi ammonimenti.
Il suo corpo fu cremato e le sue ceneri furono sepolte in vari luoghi.
La figura dei Buddha fu espressa fino al 111 secolo a. C. solo mediante simboli (l'elefante, il cavallo, la ruota, un trono vuoto, l'impronta dei piedi, ecc.).

All'inizio dell'era cristiana si hanno le prime immagini antropomorfe che rappresentano il Buddha, riconoscibile per alcune particolarità fisiche, seduto in posizione yoga o durante vari episodi della sua vita.


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"Il Buddismo separa l'Essere Umano dal mondo nella ricerca di un Nirvana finendo per cercare dentro sé tesso ciò che invece l'Essere Umano DEVE costruire nelle sue sfide dell'esistenza"

Quasi tutte le religioni, al giorno d'oggi, applicano il principio di separazione dell'individuo dal mondo.
Nel senso che l'individuo è immagine del dio, che è il primo pensiero, che ha la ragione, che è all'apice della catena delle reincarnazioni, che può (come nel buddismo) mettere fine alla sequenza delle rinascite.
L'uomo è sempre considerato qualche cosa di speciale, di vertice, di immagine di dio (magari poi la donna è considerata inferiore).
Così l'uomo religioso ha pratiche ascetiche, di preghiera o di meditazione che lo separano dalla comunità degli uomini rendendolo superiore alla società degli uomini che faticano per tirare sera. Così il monaco buddista, il prete cattolico, l'Iman musulmano sono diversi dal resto della società, sono superiori, come i Bramini che sono una casta separata induista (ad imitazione di Brahma).
I guai di tutte queste "religioni" è che perdono di vista il DIVENUTO dell'uomo.
L'uomo, oggi, è ciò che è perché per milioni e milioni di anni è stato parte dell'Essere Natura e soggetto sociale.
Ha partecipato a tutti gli scontri epocali dell'evoluzione delle specie e a tutte le contraddizioni sociali che nel corso di milioni di anni si sono incontrate.
Il separato, l'eletto, viene sottratto all'evoluzione. Viene sottratto alle trasformazioni sociali e spesso diventa l'agente che impedisce ad una società di trasformarsi.
Durante il diciannovesimo secolo sono stati necessari 30 anni di discussioni per decidere di costruire la rete fognaria a Parigi. Le cloache scorrevano in mezzo alla strada e i bambini vi erano quasi sempre immersi. Ai preti non interessava costruire le fognature: loro si sentivano una specie di superuomini ! Lo stesso vale per i monaci buddisti del Tibet che si facevano mantenere da una popolazione schiavizzata.
Ciò che gli uomini dimenticano è che la conoscenza non è dentro di noi, ma si costruisce unendo ciò che noi siamo col mondo in cui viviamo: affrontando le contraddizioni della vita e acquisendo esperienza.
L'esperienza modifica il soggetto che si rigetta nella mischia; la mischia modifica la persona che si rigetta nella mischia. E ad ogni gettarsi le sfide raggiungono vette divine.
Ci sono persone che combattono con le spade e persone che combattono con le armi degli DEI !
Ma nessuna di loro è separata dal mondo e dai suoi affanni !
Ed è affrontando gli affanni del mondo che diventiamo grandi; quando siamo separati dagli affanni del mondo non stiamo che attendendo la fine di tutto.


Edited by fiordiloto_1969 - 6/5/2011, 09:47
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 6/5/2011, 08:54     +1   -1




PROTESTANTESIMO

Il Protestantesimo è una forma di Cristianesimo sorta nel XVI secolo e separatasi dalla Chiesa cattolica a seguito del movimento politico e religioso noto come "Riforma protestante", derivato dalla predicazione dei riformatori, fra i quali i più importanti sono Martin Lutero e Giovanni Calvino. Oggi i protestanti vengono, al termine delle lunghe lotte teologiche con il papato, semplicemente detti "cristiani riformati".
Origine del termine

Nel 1526, una sessione della Dieta aboliva l'editto di Worms del 1521 che proibiva la diffusione della riforma negli stati dell'Impero, in attesa di un concilio ecumenico che mettesse ordine nella Chiesa.

La sessione della Dieta di Worms del 1529 sancì il ripristino del bando del 1521 e chiese che quell'abbozzo venisse ritirato fino al concilio ecumenico che si sarebbe occupato del problema. I principi della Germania, che si erano schierati a fianco di Lutero e della Riforma, redassero un documento comune che dichiarava come inviolabili i diritti della coscienza e della parola di Dio, di cui i principi avrebbero garantito la libera predicazione nel Sacro Romano Impero. Tale documento iniziava con la parola protestamur, ovvero 'dichiariamo solennemente', e questo termine venne a indicare per estensione le chiese che ebbero fondamento ed origine dalla riforma protestante, e il cui diritto di esistenza veniva riconosciuto proprio grazie a quel protestamur. Nel 1555, con la Pace di Augusta, venne sancito il principio del cuius regio, eius religio, secondo il quale luteranesimo e cattolicesimo diventavano religioni di stato soggette ai voleri del principe.

Teologia

Da un punto di vista teologico il protestantesimo da un lato in gran parte accetta le dottrine fondamentali, comuni alle chiese storiche, relative all'unicità di Dio, al ministero di Gesù e all'importanza della santificazione mediante lo Spirito santo, come espresso nei simboli di fede della chiesa antica, ad esempio nel simbolo niceno o nel simbolo apostolico. Dall'altro si caratterizza per la varietà delle confessioni di fede e delle chiese, sebbene sia possibile individuare alcuni tratti comuni, differenti rispetto alla tradizionale teologia cattolica, fra i quali:

l'accentuazione del rilievo della Bibbia nello stabilire la regola della fede, rispetto alla tradizione della Chiesa (Sola Scriptura).
la dottrina della "giustificazione per sola fede", cioè il ritenere che la salvezza sia un dono gratuito di Dio, al quale l'uomo risponde con un atto di fede, piuttosto che un premio per le buone opere umane (Sola Fide)
l'idea che la natura umana sia intrinsecamente malvagia e meritevole di distruzione, ma che l'uomo si salvi grazie al sacrificio espiatorio di Gesù. (Sola Gratia)
La relativa diminuzione dell'importanza dei ministri della religione nella gestione della fede.
L'abolizione del sacramento della confessione
L'accentuazione dell'intimità della fede rispetto alla cultualità pubblica

Vi sono anche altri argomenti teologici controversi, con risultati differenti a seconda delle confessioni. Fra questi:

la predestinazione
la disputa sul numero e la natura dei sacramenti


Un'altra caratteristica del Protestantesimo storico è stata l'accentuata dipendenza dallo Stato. Ciò è ancora vero per alcune monarchie nord europee, dove il luteranesimo è religione ufficiale, e in Inghilterra, dove il sovrano è anche supremo governatore della Chiesa anglicana. Ciò era particolarmente evidente in Germania, prima della dissoluzione dell'Impero, dove i principi protestanti avevano autorità sulle chiese locali simile a quella dei vescovi cattolici nelle loro diocesi. Pur riconoscendo che l'appoggio di poteri politici ha contribuito a rafforzare e difendere le chiese protestanti dai loro avversari, questa dipendenza è del tutto in via di superamento. Le chiese protestanti valorizzano oggi sempre più l'importanza della loro autonomia rispetto allo Stato non solo per non esserne manipolate (ed essere così strumento del potere) ma come sua istanza critica. Il Protestantesimo americano, in ogni caso, ha sempre sostenuto il valore della separazione delle chiese dallo Stato.

La relazione fra potere politico e religione è stata, al contrario, conflittuale per una terza forma di Protestantesimo, non direttamente collegabile a Calvino e Lutero, la cosiddetta "ala radicale" . Fra questi ricordiamo gli Anabattisti, i Quaccheri e i Sociniani. Inoltre, fu conflittuale in quei Paesi, come la Francia e gran parte dell'Italia nel XVI e XVII secolo, dove la convenienza politica spingeva i sovrani al potere a schierarsi accanto all'aristocrazia conservatrice, contro le istanze della borghesia emergente. Quindi, persecuzioni, stermìni e carcerazioni di massa furono occasionalmente o permanentemente attuate contro gruppi aderenti alla Riforma: è questo per esempio il caso dei Valdesi (che avevano aderito alla Riforma nel 1532) nelle Alpi occidentali, in Calabria e in Linguadoca, dei gruppi luterani, calvinisti o anabattisti in tutte le principali città italiane, o degli Ugonotti nella Francia meridionale.


Correnti protestanti

Numerose sono le correnti nell'ambito del protestantesimo, e alcune Chiese sono considerate impropriamente protestanti. Tra queste possiamo inserire le Chiese evangelicali, da cui deriverà poi l'organizzazione umanitaria Esercito della Salvezza.

Etica protestante

L'etica protestante deriva dal concetto teologico della salvezza per sola grazia, che i riformatori Lutero e Calvino desumono dalle lettere di Paolo di Tarso (specialmente la Lettera ai Romani) e dagli scritti dei Padri della Chiesa, in particolare Sant'Agostino. Il credente, che sa di essere nella condizione di peccatore, conosce la salvezza per la sola grazia di Dio, mediante gli esclusivi meriti di Gesù Cristo; non sono le opere umane che determinano la salvezza; tuttavia, in forza di questa certezza che il credente percepisce per fede, egli si sente chiamato a rispondere all'amore gratuito di Dio mediante un comportamento che cerca di porsi alla sequela del Cristo, pur nella consapevolezza della continua fallibilità umana.

Le esperienze fondamentali della vita etica del credente sono la conversione, la rigenerazione e la santificazione: quest'ultima è una condizione possibile per ogni essere umano, non solo per alcuni, nel momento in cui riesca a volgere il proprio comportamento in senso etico. Si evidenzia anche un prevalere di regole comportamentali non dogmatizzate ma lasciate alla coscienza del singolo
La predestinazione, nell'ambito di questa dottrina della salvezza per grazia, è il riconoscimento della libertà assoluta di Dio riguardo al destino degli esseri umani: perciò non compete all'uomo la capacità di giudicare il destino degli altri esseri umani. Piuttosto, la certezza di essere salvato conduce l'uomo ad un personale impegno nel mondo, vissuto nella libertà e nella responsabilità; questo impegno si traduce anche nella scoperta di una vocazione che non deve essere vissuta esclusivamente nell'ambito religioso, ma piuttosto si deve esprimere pienamente, sia per i religiosi che per i laici, nella quotidianità della vita e nel lavoro.

Nell'epoca contemporanea alcune grandi personalità hanno dato esempi di testimonianza dell'etica protestante vissuta come impegno nel mondo: il medico e teologo riformato Albert Schweitzer, fondatore di un ospedale nel Gabon, premio Nobel per la pace nel 1953; il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, che con la fondazione della Chiesa Confessante si oppose al nazismo e perciò fu incarcerato e giustiziato; il pastore battista Martin Luther King, premio Nobel per la pace nel 1964, che combatté con metodi nonviolenti la segregazione razziale e morì assassinato; il presidente Nelson Mandela (metodista), premio Nobel per la pace nel 1993, e il vescovo anglicano Desmond Tutu, premio Nobel per la pace nel 1984, che hanno combattuto l'apartheid in Sud Africa.


Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione

Il 31 ottobre 1999 ad Augusta (Germania) la Chiesa Cattolica Romana e la Chiesa Luterana hanno sottoscritto la Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione con cui si riconosce la validità del pensiero di Lutero in merito alla Giustificazione per Fede piuttosto che per Opere, ponendo così di fatto fine alla "Protesta". Per questo motivo, a partire da tale data è più corretto parlare di Chiesa Riformata piuttosto che di Chiesa Protestante.
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 10/5/2011, 02:24     +1   -1




MORMONISMO



Storia della Chiesa Mormone

Nel 1820, c’era una significativa confusione religiosa, negli Stati Uniti. Un ragazzo di campagna, di 14 anni, di nome Joseph Smith, Jr., era confuso circa la chiesa di cui far parte. Mentre studiava la Bibbia, lesse Giacomo 1:5, dove dice: “Se qualcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio, che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà dato”. Quando Joseph lesse questo passo, decise di pregare per chiedere a Dio la Sua guida. In risposta a questa preghiera, egli ebbe una visione di Dio Padre e Gesù Cristo. Imparò da loro che la pienezza del Vangelo era andata perduta, dalla terra, dopo che tutti gli apostoli erano stati uccisi e la terra era stata confusa, per quasi duemila anni.

Joseph avrebbe imparato, nel corso dei dieci anni seguenti, che Dio aveva un piano per lui. Attraverso il suo potere e sotto il comando di Dio, Joseph tradusse degli antichi annali, tenuti dai primi abitanti delle Americhe. Questo lavoro venne pubblicato come “Libro di Mormon” ed è un compagno della Bibbia. Si tratta di una seconda testimonianza che Gesù è il Cristo. Il 6 aprile 1830, la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni venne organizzata. Nel corso dei decenni che seguirono, chi era diventato membro di quella che veniva comunemente chiamata “la Chiesa mormone” (dopo il Libro di Mormon), sopportò quasi infinite persecuzioni e sofferenze, da parte di tutti coloro che lo circondavano. Venivano guidati da stato a stato, e Joseph, dirigente della chiesa, venne arrestato più volte con false accuse, e, infine, egli e suo fratello Hyrum, furono entrambi martirizzati da una folla inferocita. Brigham Young, che succedette a Joseph, come profeta mormone, portò i Santi in Occidente, come Joseph aveva ordinato di fare.

I Santi degli Ultimi Giorni, lasciarono gli Stati Uniti, ma il territorio dello Utah, dove si stabilirono, poco dopo entrò a far parte degli Stati. Eppure, era una regione desertica, che nessun altro voleva, per sbarcare il lunario. Qui furono ben presto perseguitati, in gran parte per la loro pratica religiosa della poligamia. Dopo alcuni decenni di questa pratica, che solo una piccola percentuale di membri della chiesa mormone praticò, il Signore rivelò, al profeta di allora Wilford Woodruff, di ritirare il comandamento di vivere questa legge. Dio sapeva che se i santi avessero continuato a praticare la legge che aveva dato loro, il governo avrebbe preso tutte le proprietà della chiesa (come aveva già in gran parte fatto), ma, più significativamente, i templi sarebbero stati sequestrati e i Santi non sarebbero più stati in grado di vivere il Vangelo, secondo i comandamenti. E’ stato solo dopo che i santi avevano dimostrato che sarebbero stati fedeli alla legge che Dio aveva dato loro, che Egli tolse il comandamento, per poterli preservare. Nessun matrimonio poligamo è stato celebrato dalla Chiesa mormone, dal 1904. I privati, ​​che oggi praticano la poligamia, non sono membri della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. La maggior parte di essi, non lo è mai stato.

Dopo che i santi si stabilirono in Utah, Brigham Young inviò molte persone nelle altre aree del Grande Bacino, per creare più insediamenti. Il lavoro missionario divenne una parte del vangelo restaurato, dal 1830 in poi, e coloro che furono battezzati nella chiesa mormone, vennero incoraggiati a trasferirsi nello Utah. Molti nuovi convertiti arrivarono dall’Europa finchè non venne chiesto, dai dirigenti della Chiesa, che le persone restassero nelle zone dove erano state battezzate, per costruire la chiesa. In questo modo, il mormonismo è diventata veramente una religione mondiale, con più di 14 milioni di membri in tutto il mondo, e con più membri al di fuori degli Stati Uniti, che dentro. La Chiesa mormone è ampiamente conosciuta per la sua opera umanitaria, nell’aiutare le persone bisognose, afflitte da calamità naturali, guerre e povertà in generale.

Il lavoro del tempio è una parte enorme, della religione mormone. La cerimonia di investitura mormone è spesso vista con sospetto da coloro che non sono membri della chiesa, perché le persone sentono che i mormoni sono molto riservati, riguardo il lavoro di tempio. La verità è che il lavoro svolto nei templi è sacro, non segreto. Tutti i templi mormoni sono aperti al pubblico, prima che essi vengano dedicati, così il pubblico li può visitare, in modo da poter vedere la bellezza di questi edifici e vedere che non c’è nulla di sospetto, in essi. Tuttavia, dopo che un tempio viene dedicato, solo i membri della chiesa mormone che si sono resi meritevoli, attraverso il vivere una vita pura, possono entrare.

Chi diventa un membro della chiesa mormone è incoraggiato a vivere una vita degna di andare al tempio.

 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 18/5/2011, 10:21     +1   -1




LA RELIGIONE MUSULMANA



Maometto iniziò la sua predicazione nel 610, egli si definì un “profeta” e affermò di aver appreso la propria dottrina attraverso “un’illuminazione” per mezzo della quale Dio gli aveva dettato la propria parola.

Il Corano, testo sacro che raccoglie la parola di Dio, non una sua interpretazione, è il principale oggetto di fede

La Sunna, raccolta di detti e azioni di Maometto, con le interpretazioni elaborate dagli studiosi musulmani, è anch’essa considerata sacra

Fra l’uomo e Dio, Allah, non vi è nessuna intermediazione, Maometto non è figlio di Dio, come Gesù, né una sua incarnazione, è solo il più perfetto dei profeti

E’ una religione universalistica, come quella cristiana, perché vi possono aderire uomini di qualunque condizione ed etnia

E’ una religione morale, prevede l’osservanza di riti e regole.

E’ una religione che prevede la gihad, “guerra religiosa” contro se stessi, per non commettere azioni contrarie alla fede, contro i non musulmani.



I fondamenti dell’Islam.. si raccolgono attorno ai 5 pilastri della religione musulmana:



la preghiera, che si ripete 5 volte al giorno volgendo il viso verso la mecca


l’elemosina legale dovuta allo Stato, il quale si assume il dovere di tutti


il digiuno dall’alba al tramonto, che viene osservato per tutto il mese sacro del ramadan


il pellegrinaggio alla Mecca, da compiersi almeno una volta nella vita


la confessione di fede, cioè la lotta contro gli infedeli.





1 - La testimonianza è una professione di fede nell'unicità del Creatore e un riconoscimento della Verità del Profeta. La prima parte: " non c'è altro Dio fuorché Dio " rappresenta il movimento dell'uomo verso il Divino il suo distinguere il reale (Dio) da tutto ciò che non è reale, ossia che è fuori da questa relazione. Nella seconda parte: " Muhammad è il suo Profeta " Dio si muove in direzione dell'uomo e attraverso il Profeta Muhammad comunica agli uomini il suo messaggio. Per diventare musulmani basta pronunciare la professione di fede ( asc-Sciahada ) davanti a dei " probi testimoni musulmani " o ad un dottore delle legge islamica. Nello spirito del Corano quest'atto personale e volontario ha valore di contratto e nessuno ne può rimettere in causa la sincerità se non una solenne dichiarazione di abiura.

2 - Le cinque preghiere quotidiane. All'alba, a mezzo giorno, nel pomeriggio, al crepuscolo e di notte tutti i musulmani in buona salute, devono prima lavarsi e poi rivolgersi in direzione di La Mecca per rendere lode a Dio. Le abluzioni sono il simbolo del ritorno dell'uomo alla primitiva purezza. Se il credente è a casa sua, sceglie un angolo pulito e prega generalmente su un tappeto o su una stuoia. lameccaIn Moschea la liturgia non cambia, ma le direttive vengono date ad alta voce dall'Imam il religioso o il laico che conduce la preghiera. Il musulmano può pregare anche in ufficio o per strada o dovunque si trovi. Ognuna delle cinque preghiere è codificata da una liturgia che comprende sia il piano individuale che quello collettivo. La preghiera è anche il momento privilegiato del rapporto intimo con Dio, la confessione diretta. L'incontro con Dio può essere moltiplicato nelle preghiere solitarie, silenziose anche in strada di giorno e di notte.

3 - Il pagamento dell'imposta coranica non è soltanto un elemosina, ma è un atto di solidarietà concreta e costante con il resto della comunità e una purificazione dei beni legalmente acquisiti. All'inizio atto volontario e libero, l'elemosina ha avuto con il tempo e con l'espansione della nazione musulmana un evoluzione verso forme fiscali che si avvicinano alla pratica moderna delle imposte. Dai musulmani viene inoltre molto praticata anche l'elemosina libera per aiutare i più bisognosi.


4 - Il pellegrinaggio alla Sacra Casa, a La Mecca. Ogni musulmano in possesso dei mezzi fisici e materiali deve recarsi almeno una volta nella vita a La Mecca. L'origine di quest'obbligo affonda nelle tradizioni dell'Arabia pre-islamica. Quando entra nel perimetro sacro, vietato ai non musulmani, il pellegrino si purifica, abbandona i suoi vestiti e indossa un pezzo pezzo di stoffa non cucito e semplice sandali. Va incontro a Dio pronunciando una sola parola: LABBAYKA, eccome a te. Gira sette volte attorno al cubo sacro e bacia una volta la pietra nera che sta alla base del cubo. Dopo la grande preghiera condotta dal gran Cadì (giudice) di La Mecca, il pellegrino si dirige verso la valle di Mina e là venera la memoria di Abramo. Poi si reca sul monte Arafat dove in piedi da mezzogiorno al crepuscolo recita i versetti del Corano che celebrano la gloria del Signore. L'atto finale è il sacrificio rituale di un bovino, più spesso un caprino in ricordo del sacrificio di Ismail, l'antenato degli Arabi, per mano di Abramo. Il valore sociale che assume il pellegrino di ritorno da La Mecca è grande: ormai è considerato un saggio e la gente tiene conto dei suoi consigli. I poveri sono dispensati da queste prova. Il pellegrinaggio a La Mecca permette infine l'incontro della Comunità musulmana mondiale e è il simbolo di un viaggio interiore all'interno di se stessi.

5 - Il digiuno del mese di Ramadan. La seconda Sura del Corano obbliga tutti gli adulti in buona salute a digiunare dall'alba al tramonto, tutti i giorni, nel mese lunare del Ramadan, periodo della rivelazione del libro. Fra tutti gli obblighi il digiuno è il più osservato, in alcuni paesi caldi, la mancanza di cibo e di acqua può rendere la prova faticosa, ma questa non assume mai il carattere di espiazione dolorosa, ma di un'offerta a Dio in cui l'anima domina il corpo. E' evidente come l'interruzione volontaria del ritmo vitale rappresenti la libertà dell'uomo dal proprio "io" e dai desideri che ne derivano. E' anche il ricordo che in noi abita " colui che ha fame" come un alter ego fragile, imperfetto da strappare alla miseria e alla morte.




La donna nella religione musulmana




La questione della situazione e della posizione della donna nelle culture islamiche è spesso oggetto di profonde incomprensioni in Occidente dove è diffusa una visione riduttiva e caricaturale della religione in generale e della condizione femminile in particolare.
L'islam e la Shariâa (le leggi coraniche), di cui le fonti principali sono il Corano e i Hadith (i detti del profeta Muhammad), non hanno conferito alla donna una posizione più precaria o peggiorativa spetto alle altre religioni monoteiste; le società musulmane non sono più androcratiche di altre, la questione fondamentale da porsi è perché nel mondo musulmano contemporaneo sono sopravvissuti e sono riproposti modelli e comportamenti sociali tipici delle cosiddette società premoderne caratterizzate da una forte gerarchia fra clan e clan, fra tribù e tribù, fra casta e casta, a fra gruppo e gruppo, fra famiglia e famiglia, fra uomo e uomo, fra uomo e donna.
La problematica è molto complessa e la sola lettura religiosa è davvero insufficiente.

La dottrina coranica è interpretata, da diversi secoli, in nodo molto diverso dalle varie correnti che caratterizzano il pensiero musulmano. Fra i modernisti riformatori e i fondamentalisti gli spazi di divergenza sono molto ampi come vi sono altre distinzioni delle quali è necessario tenere conto: la distinzione fra i sunniti e gli sciiti, la distinzione fra le diverse scuole giuridiche Madahib, ecc. Queste differenze sono fondamentali per le loro incidenze sulle legislazioni degli Stati mussulmani: ad esempio i paesi dell'Africa settentrionale seguono la scuola :giuridica sunnita malekita, l'Egitto, la Siria, La Giordania, l'Afganistan sono sunniti hanefiti, l'Iran è Sciita, il Senegal mussulmano è sunnita hanbalita, ecc..
Inoltre il mondo mussulmano presenta delle differenze notevoli nel campo socioculturale e d'applicazione della Shariâa: tra il Medio Oriente e la penisola araba, culla della civiltà di Abramo e il resto del mondo (le culture africane, le culture dell'Estremo Oriente, ecc.). Le leggi coraniche sono state gradualmente adottate secondo sistemi socioculturali e sistemi di valori del tutto differenti e che non sono scomparsi con l'avvento dell'Islam; anzi ne forniscono gli elementi per direzioni interpretative diverse.
In questo contesto è chiaro dunque che lo status, il ruolo e i diritti della donna variano secondo la scuola giuridica, la storia della nazione, le trasformazioni culturali locali.
E' importante dunque partire dal dato che non esiste UNA unica donna mussulmana, Questo è solo un concetto molto diffuso per esemplificare una realtà molto articolata in cui, purtroppo, donne che vivono in contesti estremamente diversi hanno spesso un denominatore comune: lo status di cittadine di serie b, in paesi tutt'altro che laici e democratici, a loro imposto da leggi che rivendicano la loro legittimità nei valori sacri della religione.
L'Islam riconosce la parità ontologica ed escatologica tra uomo e donna e riconosce al femminile un ruolo fondamentale nellâarmonia dell'universo. Tuttavia diverse disposizioni contenute nei versi del Corano assegnano all'uomo una preferenza: gli "uomini sono un gradino più in alto" delle donne (II-228).

Si racconta che alcune donne appartenenti alla prima comunità mussulmana furono grandi femministe (come la grande guerrigliera Nusaybah) e chiesero al profeta Muhammad per quale ragione, nel Corano, Dio si rivolgeva solo agli uomini e mai alle donne. La legenda dice che Dio riconobbi la validità della rivendicazione perché in seguito tutta la Rivelazione parlerà ai credenti e alle credenti.

Secondo l'interpretazione tradizionalista la diversità biologica fra uomo e donna determina i diversi ruoli e responsabilità all'interno della società: mentre lâuomo, dotato di forza, lavora fuori casa, si occupa di affari e politica e in famiglia è il Capo Assoluto, il ruolo della donna, dotata invece di sensibilità, si svolge esclusivamente all'interno della famiglia in qualità di madre e moglie. Secondo l'interpretazione modernista, nell'islam gli uomini e le donne hanno uguali diritti e doveri e la reclusione femminile raccomandata nei versi coranici si riferiva esclusivamente alle mogli dei profeta e, che già al tempo di Muhammad, le donne non solo avevano contatti sociali con gli uomini, sia in pubblico che in privato, ma molte (tra le quali Khadigia, datrice di lavoro del Profeta prima di diventare sua moglie) si occupavano di affari economici e politici.


La famiglia


Nell'Islam, la differenza fra uomini e donne sta esclusivamente nel modello di famiglia delineato. La dottrina islamica ripropone, consolida e regolamenta la struttura familiare patriarcale, patrilineare e l'organizzazione sociale comunitaria (che caratterizza la cultura arabo-semita - ove è nato l'lslam - ma anche una grande parte delle culture in cui si è diffuso) Il modello patriarcale garantisce lo sviluppo e il crescere del gruppo paterno di appartenenza, il suo sistema di valori e tutela la sua proprietà fondiaria.
In tale modello familiare, l'autorità e il potere decisionale sono assunti da un capo famiglia uomo (colui che provvede al mantenimento economico e all'ordine) e sono sempre ereditati da un uomo dello stesso lignaggio; il ruolo invece assegnato alla donna (e il suo riconoscimento sociale) è la subalternità a colui che ha l'obbligo di mantenerla, la maternità e la Hadana (cure relative all'allevamento dei bambini, compito strettamente femminile): "il paradiso è sotto i piedi della madre" diceva il profeta Muhammad.
La patria potestà è esclusiva del padre che gode anche del cosiddetto "diritto di Ta'dib" (correzione) sulla propria moglie.
L'islam obbliga il padre alla Nafaqa (mantenimento economico) dei figli maschi fino alla pubertà e delle femmine fino alla consumazione del loro matrimonio. La donna dunque, in .tale struttura familiare "appartiene" al gruppo paterno ma con il matrimonio passa sotto l'autorità del gruppo familiare di suo marito. E' uno dei fattori (l'altro fattore è l'eredità) per il quale il matrimonio endogamico è stato per tanto tempo considerato la più felice delle unioni.


Il matrimonio


"Unite in matrimonio quanti fra voi non sono sposati..
Quelli che non trovano da sposarsi, si sforzino di rimanere
casti finché Iddio concederà loro il Suo favore"
il Corano XXIV-32-33



Nell'Islam, il matrimonio, il niqah o el zawaj, è sinonimo di relazione sessuale lecita, perché stabilita con un contratto che prevede obblighi e doveri della coppia. Le relazioni sessuali extramatrimoniali - zina'- sono espressamente condannate E' proprio per regolamentare la sessualità di uomini e donne, considerata un bisogno fondamentale dell'essere umano, che il matrimonio è un obbligo per tutti i mussulmani e non ha vincoli di durata. Tre condizioni concorrono alla validità del contratto matrimoniale: il consenso della donna e dell'uomo, il consenso del tutore della sposa -il Wali, colui che la mantiene e la protegge - e infine l'obbligo per lo sposo di versare la dote alla sua partner.
Gli impedimenti al matrimonio sono elencati in diversi versi del Corano e riguardano sostanzialmente le unioni fra parenti (incestuose) ma ciò che mette più al centro la donna e l'appartenenza religiosa (i figli acquisiscono alla nascita la religione e il nome del padre), è l'assoluto divieto di matrimonio fra la musulmana e il non-musulmano mentre è lecita l'unione dei musulmani con donne che appartengono alle religioni del Libro (ebraica e cristiana).
Nella dottrina islamica, e per gli uomini, il matrimonio può essere poligamico poiché il Corano prevede al verso IV-3: "Se temete di non essere equi con gli orfani, sposate allora di fra le donne che vi piacciono, due o tre o quattro, e se temete di non essere giusti con loro, una sola..".
Secondo i tradizionalisti, il riferimento fatto al trattamento equo è una mera esortazione morale mentre per i modernisti, il Corano ha reso lecito la poligamia per proteggere gli orfani (si riferisce dunque esclusivamente alle vedove) ma che, in amore, anche se un uomo volesse sinceramente essere equo, non ne sarebbe capace poiché gli essere umani sono ciò che sono e che il verso IV-129 "Anche se lo desiderate non potete agire con equità con le vostre mogli" vieta addirittura la poligamia.

Il matrimonio islamico non prevede la comunione dei beni poiché gli averi e le proprietà della moglie (acquisite per eredità dai famigliari o dal suo lavoro) non devono essere usati per il mantenimento della famiglia. I suoi beni passano in parte alla sua "nuova" famiglia tramite il diritto di eredità dei suoi figli. Ed è proprio per questo motivo che, nell'Islam, le donne hanno il diritto alla metà dell'eredità che spetta ai maschi, in quanto solo questi ultimi, hanno il dovere e l'obbligo di provvedere al mantenimento economico delle donne della loro famiglia.


Il divorzio


Il matrimonio nella shari'a islamica può essere sciolto per cause naturali, legali o volontarie. Per quanto riguarda queste ultime può essere dissolto principalmente in due modi: unilateralmente per volontà del marito, o bilateralmente per mutuo consenso.
La dissoluzione unilaterale si effettua con il talàq (ripudio) per il quale non è necessario né il consenso della moglie, né il permesso del giudice: il talàq può essere revocabile o irrevocabile se è ripetuto tre volte con la stessa moglie oppure se è stato superato il periodo della 'idda (ritiro legale) durante il quale il marito può esercitare il suo diritto di raja' (ritorno della moglie al domicilio coniugale) "Il ripudio vi è con concesso due volte: poi dovete o ritenerla con gentilezza presso di voi o rimandarla con dolcezza" II-229. Il marito deve pronunciare due o tre volte la formula del talàq in presenza di due testimoni.
La moglie può richiedere il divorzio se il contratto matrimoniale non è stato rispettato: mancanza al dovere di mantenimento, mancanza al dovere di dividere il letto coniugale o di avere rapporti sessuali per un periodo che supera i quattro mesi, richieste da parte del marito di prestazioni sessuali illecite (masturbazioni e sodomizzazioni), sterilità non dichiarata al momento del matrimonio e ovviamente per adulterio commesso dal coniuge. L'istanza deve essere presentata al giudice che, dopo aver ascoltato le dichiarazioni del marito e dei testimoni, ha la competenza di sciogliere il matrimonio.
Il Corano prevede anche, secondo il verso IV-35 una forma di divorzio bilaterale khòl' in cui l'istanza viene presentata dalla moglie, seguita dal consenso del marito. La moglie deve pagare una sorta di risarcimento al coniuge o rinunciare a una parte della sua dote (versata al momento del matrimonio).
In caso di adulterio, il divorzio è automaticamente ottenuto dalla donna. La Sura della Luce detta in 23 versi le regole in materia di adulterio. L'adulterio considerato reato molto grave "L'adultera e l'adultero ricevano cento colpi di frusta ciascuno....L'adultero non sposi che un'adultera o un'idolatra, l'adultera non sposi che un adultero o un idolatra: ciò è invece interdetto ai credenti. " deve essere confermato da quattro testimonianze. "Quelli che formulano accuse contro donne oneste senza avere quattro testimoni, ricevano ottanta colpi di frusta...Se non hanno portato testimoni, vuol dire che sono loro davanti Iddio i bugiardi! E coloro che accusano le loro mogli senza avere testimoni che se stessi giurino quattro volte in nome di Dio· La donna eviterà la punizione se a sua volta giurerà per quattro volte in nome di Dio che il marito ha mentito."

I modernisti ritengono che la giurisprudenza islamica ha ignorato certi principi contenuti nel Corano che, se osservati, avrebbero migliorato la posizione della donna all'interno della famiglia e della società. Relativamente al divorzio, per esempio, la clausola 4 del verso II-228 sembra parlare di uguali diritti tra sposi quando dice "Esse (le mogIi) agiscano con i mariti come i mariti agiscono con loro, con gentilezza ''. Tuttavia i fuqaha (gli studiosi della dottrina) non ritennero che questa clausola avesse carattere normativo e generale cioè a tutti gli aspetti del matrimonio.



La contraccezione


L'atteggiamento islamico nei confronti del controllo delle nascite si trova in una posizione isolata rispetto alle altre religioni monoteiste: il Cristianesimo e l'Ebraismo. Infatti fondandosi sia sul silenzio del Corano in questo campo sia su alcuni Hadith, che rivelano un giudizio indifferente o a volte favorevole del profeta riguarda il coitus interruptus (Azl), la maggioranza dei teologi islamici dicharano la contraccezione "permessa", in particolare il grande imam Al Ghazali (1058-1111) che l'ha dichiarato lecito se attuato secondo intenzioni onorevoli. In seguito, per ragionamento analogico, la permissione del coito interruptus si è estesa a tutti gli altri sistemi anticoncezionali che impediscono temporaneamente la procreazione mentre è rigorosamente proibita la sterilizzazione.

L'aborto


Esplicitamente e più di una volta il Corano condanna nettamente l'infanticidio. Nell'era pre-islamica e in Arabia, la pratica di uccidere le neonate femmine seppellendole vive era molto diffusa. Numerosi sono I passi in cui il Corano leva chiaramente la voce contro un delitto ritenuto frutto di un'epoca di ignoranza e di degradazione: "non uccidete i vostri figli per motivi di indigenza poiché siamo Noi a provvedere alla vostra sussistenza e alla loro. Uccidete solo in tutta giustizia la vita che Dio ha reso sacra." VI-I 51.
Riferendosi a questo verso e a un Hadith del profeta - che dice che lo sviluppo dell'embrione conosce tre fasi di quaranta giorni ciascuna: l'uovo fecondato, l'embrione e il feto ed è solo alla fine della terza fase che l'Arcangelo Gabriele insuffla la vita e il destino del bambino -, molti dottori del Fiqh considerano che l'interruzione di gravidanza è tollerata solo per salvare la vita o la salute della madre e se viene effettuata prima della fine della terza fase di gravidanza, in quanto il bambino non ha ancora anima e destino. E' quindi proibito l'aborto per motivi economici o in fase avanzata di gravidanza. Anche se non tutte le scuole di pensiero sono d'accordo su questa interpretazione, in molte culture islamiche l'interruzione di gravidanza viene praticata e in molti stati islamici sono le strutture sanitarie pubbliche che ne hanno la competenza, proprio per limitare il ricorso ai metodi tradizionali e agli aborti clandestini.

Questi brevi accenni alla posizione della donna secondo la dottrina islamica e secondo le interpretazioni tradizionaliste o moderniste ci porta a reiterare che le regole religiose sono specchio del sistema sociale e culturale nel quale si sono rivelate e che la dottrina islamica ha riproposto con modifiche di forme ma non di sostanza un sistema patriarcale e un'organizzazione sociale comunitaria.
La subalternità della donna nel sistema patriarcale viene dunque secondo una interpretazione conservatrice del Corano, legittimata da una volontà divina.
La specificità del Corano e dei Hadith (i detti del Profeta Muhammad), che si occupano in modo dettagliato del rapporto fra donne e uomini (la sessualità, il matrimonio, il rapporto di coppia, il divorzio, la dote, ecc..), hanno sicuramente contribuito a ostacolare e/o sanzionare i tentativi di modifiche visti e vissuti come trasgressioni e violazioni del sacro.

Ciò però non ha impedito a molti Stati Islamici di ricorrere alle Fetwa (responsi giuridici) quando l'esercizio del potere lo richiedeva. A titolo d'esempio si può citare il caso dei paesi del Golfo che, preoccupati dall' "invasione straniera", hanno fatto emettere una fetwa per autorizzare le sterilizzazioni. In nessun paese questo strumento è stato usato per garantire alle donne i loro diritti.
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 24/5/2011, 10:37     +1   -1




Origini Storiche dell'INDUISMO





L''induismo si è definito cosi' in relazione all'Occidente e al cristianesimo con i grandi movimenti di riforma dei XIX secolo, il Brahmo Samaj, fondato nel 1828 da Raja Rani Mohan Roy (1772-1833), e l'Arya Samaj, fondato nel 1875 da Swarni Dayananda Sarasvati (1824-1883).

Pure molto diversi fra loro, entrambi presentano l'induismo come monoteismo. Altri maestri si pongono il problema di portare l'induismo in Occidente, superando il punto di vista secondo cui si tratta di una religione per i soli indiani. La rinascita spirituale dell'induismo di fronte alla sfida dei missionari cristiani nel XIX secolo - e la successiva «contro-missione» in Occidente - è rappresentata particolarmente da Ramakrishna e dal suo discepolo Vivekananda, il «san Paolo dell'induismo».

Sulla scia di Vivekananda, moltissimi maestri indiani sono venuti in Occidente, e un catalogo anche succinto dovrebbe comprendere centinaia di nomi.

Le origini storiche sono difficilmente databili, antichissime, e non mancano studiosi - archeologi e antropologi in particolare - i quali datano tracce della civiltà dell'Indo a prima del 6000 a.C. (una datazione che altri specialisti considerano acritica, postulando una sostanziale omogenia fra induismo e civiltà vallinde). Secondo questa versione, la civiltà indica arcaica e le diverse popolazioni che abitavano l'India dell'epoca, seguivano vari culti che nel tempo si sarebbero amalgamati, evolvendosi nelle forme vediche e agamiche delle pratiche religiose indù. E' bene sottolineare che gli studiosi hanno applicato diversi parametri per suddividere l'evoluzione dell'induismo nelle varie epoche storiche (per esempio, in base ai testi di riferimento o al rituale, e così via).


Riportiamo alcune ipotesi:



PRIMA IPOTESI


Secondo alcuni la storia dell'Induismo più antico viene suddivisa in due fasi:



la fase vedica (ca. 1500 - 900 a.C.), caratterizzata dalla pratica dei sacrifici e dal culto di un numero molto elevato di divinità - tra cui spiccano il potente Indra e il dio del fuoco Agni,

la fase post-vedica o brahmanica (ca. 900 - 400 a.C.), in cui sia il sacrificio, sia molte delle divinità vediche perdono importanza, e compare il dio creatore Prajapati (identificato con il brahman, l'assoluto).



SECONDA IPOTESI


Una seconda possibile suddivisione potrebbe essere proposta in quattro periodi:



Il primo è detto vedico, dai Veda («vera o sacra conoscenza»), suddivisi in quattro raccolte (Rig Veda, Sama Veda, Yajur Veda, Atharva Veda)(Veda degli inni, Veda delle melodie, Veda delle formule sacrificali, Veda delle formule magiche); testi sacri redatti in un periodo approssimativo compreso fra il 3000 e il 400 a.C. e canonizzati come increati ed eterni, auto-rivelazione dell'energia divina Brahman.
Il periodo vedico si suddivide a sua volta in: età dei Samhita («raccolta degli inni»), dei Brahmana (composizioni sacerdotali di ritualistica) e delle Upanishad (parte speculativa-filosofica).
E' opinione comune che il Rig Veda sia il più antico fra i testi vedici, dimostrata dal fatto che nelle altre raccolte vi sono porzioni più o meno ampie dei suoi 1.028 inni di preghiera con piccole addizioni e lievi alterazioni.

Il secondo periodo, durante la dinastia dell'impero Maurya (c. 560-200 a.C.), è l'età dei Sutra, o Kalpa Sutra, all'interno del quale si inseriscono i Vedanta (sei trattati supplementari ai Veda per la corretta celebrazione del rituale, in cui si trattano la corretta pronuncia, la metrica, l'etimologia, la grammatica, l'astronomia e le norme per la cerimonia).

Il terzo periodo, risalente al 200 a.C -300 d.C . - fino alla fine della dinastia Gupta -, è quello Itihasa («Così invero fù», o poemi di carattere popolare leggendario, fra cui il Ramayana.


Il quarto periodo, a partire dal 300-650 d C., è l'epoca dei Purana (raccolte di storie dei tempi antichi, che tradizionalmente trattano cinque argomenti: creazione dell'universo; sua distruzione e ricreazione; genealogia degli dei; regni e varie epoche del mondo; storia delle grandi dinastie solare e lunare, degli Agama («ciò che è stato tramandato»; testi che contengono ínsegnamenti tradizionali non-vedici della tradizione Saiva) e dei Tantra («fili intessuti su un telaio»; termine riferito a vari testi di carattere sia religioso sia laico, di tradizione sia hindu sia jaina e buddhista,religioni nate in India verso il 500 a.C.).



TERZA IPOTESI



Il Periodo Vedico che approssimativamente inizia nel 2500 a.C. e dura fino al 600 a.C., il tempo corrispondente alla nascita dei Buddha. E' l'epoca delle grandi scritture hindu, la Shruti, ciò che è stato udito dagli rshi, i veggenti, i quali hanno tramandato la loro visione interiore del Reale.
E' il Dharshan la visione-Rivelazione induista che si ritrova messa in parole nei testi Veda.
Nei Veda troviamo esperienze diversificate che, con i nostri termini, potremmo chiamare, politeismo, panteismo, monismo.
Il Secondo periodo è quello epico che intercorre tra il 600 a.C. e il 200 d. C.. I costumi sociali, le pratiche religiose e la legislazione assumono una struttura che diventa la base della società hindu. I due grandi poemi epici, il Mahabharata e il Ramayana, costituiscono un intreccio di storia, mitologia e pensiero religioso-filosofico. Anche la Bhagavadgita, che è stata definita il testo "evangelico" dell'induismo, risale a quest'epoca. Emergono le dottrine destinate a trasformarsi in grandi sistemi filosofici ortodossi ed eterodossi, come il buddhismo e lo jainismo. In questi secoli il pensiero hindu raggiunge i massirni livelli di creatività e di apertura mentale alle diverse interpretazioni dei reale. Radhakrishnan, filosofo e presidente dell'India (negli anni sessanta), ha scritto che mai come in quest'epoca si sono intrecciati magia e scienza, scetticismo e fede, lìcenziosità ed ascesi. Eppure attraverso questi contrasti la ricerca della verità ha potuto proseguire ed aprirsi a nuovi sviluppi.
Questo periodo è caratterizzato anche dai Sutra. Il termine significa "aforisma" (massima, sentenza), il "filo" che lega le diverse cose tra loro. I Sutra sono composizioni scritte dalle scuole sacerdotali in stile aforistico tra il 200 a.C. circa e il 300 d.C. Vengono pure redatti alcuni tra i Purana più rilevanti, che contengono miti, leggende, dottrine filosofiche prodotte in forma popolare e divulgative e riti.Ciò che colpisce il lettore di questi libri e della religione che essi descrivono è il rapporto tra il sacrificio rituale e l'ordine cosmico:il sacrificio vedico è il centro e ombelico del mondo, da esso dipende il rinnovamento dell'universo e vi sono coinvolti cielo e terra, gli dei e gli uomini. L'accento è posto sull'azione sacra , che è sacrificale e liturgica. Ai Veda succedono le Upanishad, termine che significa "sedere più vicino" al guru (maestro). Chi si siede vicino è il discepolo. L'uno ha scelto l'altro e la scelta è reciproca. Quel rapporto aiuta ad esplicitare l'esperienza della ricerca dell'ASSOLUTO, che spesso è l'esperienza dell'identità dell'anima col divino.Nelle Upanishad l'accento è posto sulla contemplazione, l'interiorità, la speculazione, l'intuizione mistica.
Il Terzo periodo è contraddistinto dai sistemì filosofici, i Darshana (=punti di vista) che, come appare dall'etimologia, sono una visione prospettica del mondo. La scuola più nota è quella dello Yoga (aggiogamento).Questo segmento di storia va dal 300 al 700 dell'era cristiana. L'antico filone upanishadico non è smentito, ma si arricchisce. In occidente si parla di sistemi,tuttavia va ricordato che essi non sono mai pura speculazione filosofica, ma sono teologia, spiritualità, cammino esistenziale di salvezza.
Il Quarto periodo va dal 700 al 1400 e comprende le grandi costruzioni filosofiche e scuole di vita iniziate o sviluppate da maestri come Shankara, Ramannja, Mariliva e Nimbarka.
L'India del sud si distingue per il misticismo della bhakti, la devozione amorosa. I movimenti devozionisti nascono sullo sfondo delle divisioni delle varie Dharshana: Shivaismo, vishnuismo, shaktismo e tantrismo assumono forme varie e danno connotazioni distintive alle grandi correnti religiose.
Dal 1400 al 1750 sorgono vasti commentari a carattere popolare. La religiosità popolare diventa il substrato che caratterizza tutto il mondo hindu nei suoi diversi aspetti. Comunicazione, interazione, compartecipazione della natura e senso gerarchico dei reale sembrano essere due note fondamentali dell'induismo popolare di quest'epoca, che sussiste anche oggi.
A partire dal 1750 sorgono movimenti religiosi di riforma, sotto la spinta e l'influsso dell'occidente. Il rinnovamento è religioso, sociale e politico. Vanno ricordati il Brahmoo Samaj, l'Arya Samaj, Ramakrishna, Vivekananda, Rabindranath Tagore, Mahatma Gandhì, Shri Aurobindo, Ramana Maharshi (Meditazione Trascendentale).
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 1/6/2011, 09:35     +1   -1




religione ortodossa russa



La Chiesa ortodossa russa è una Chiesa ortodossa autocefala. Occupa il quinto posto nel dittico delle chiese autocefale ortodosse dopo il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, Chiesa ortodossa di Alessandria d'Egitto, Chiesa greco-ortodossa di Antiochia, Chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme. Il capo della Chiesa Cirillo I ha il titolo di patriarca di Mosca e di tutta la Russia con residenza a Mosca.

Storia


La Chiesa russa fa risalire la sua origine al battesimo del principe Vladimir I di Kiev nel 988 (Vedi Conversione al Cristianesimo della Rus' di Kiev).

Il Manoscritto Nestoriano riferisce che nel 987, dopo una consultazione con i boiardi, Vladimir inviò dei messi delle nazioni confinanti, i cui rappresentanti lo avevano invitato ad abbracciare le rispettive fedi, al fine di valutare quale fosse la religione migliore per il proprio regno. Il risultato è descritto nella seguente legenda apocrifa. Gli inviati riferirono che tra i musulmani della Bulgaria del Volga non c'era letizia ma solo tristezza e una grande puzza e che la loro religione era da evitare a causa dei suoi divieti contro il consumo d'alcool e di carne di maiale; a questi Vladimir aveva allora risposto "Bere è la gioia della Rus'".

Le fonti russe descrivono anche l'incontro del Principe con gli inviati ebraici (che potevano essere Cazari). Dopo averli interrogati a fondo sulla loro religione rifiutò di convertirsi alla stessa con il pretesto che la perdita di Gerusalemme evidenziava, a suo dire, che i fedeli ebraici erano stati abbandonati da Dio.

Per ultimo Vladimir chiese dei Cristiani. Nelle cupe chiese tedesche i suoi emissari gli riferirono che non c'era bellezza ma dell'Hagia Sophia di Costantinopoli riferirono: "Noi non sapevamo se fossimo in cielo o sulla terra". Non è possibile sapere quanto Vladimir rimase colpito dalle descrizioni dei suoi messi. Di certo la conversione alla religione cristiana di rito greco ortodosso avrebbe permesso al suo Stato di rafforzare i rapporti economici e diplomatici con l'Impero bizantino. A Kiev fu fondata la Provincia ecclesiastica sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli.

Nel 1448 a seguito del rifiuto di accettare l'Unione di Firenze da parte del Pomestnij Sobor della Chiesa russa che rappresenta, tramite i delegati, tutto il popolo di Dio inteso come clero e laicato del proprio territorio, prese lo stato di autocefalia. Il vescovo di Rjazan' Iona fu eletto Metropolita di Kiev e di tutta la Russia senza approvazione di Costantinopoli. Solo nel 1589 il Patriarca di Costantinopoli Geremia II Tranos con il suo decreto ha formalizzato la nomina di San Job a patriarca di Mosca e di tutta la Russia.

Nel 1654 dopo l'ascesa di patriarca Nikon fu riunito un Sobor al fine di ristabilire l'uniformità tra le pratiche liturgiche della Chiesa greca e di quella russa. Un secondo Sobor, tenutosi a Mosca nel 1656, approvò la revisione delle opere così come disposta dal primo concilio e lanciò un anatema sulla minoranza dissidente, che includeva una fazione dei Zelatori della Pietà e il Vescovo Pavel di Kolomna. Le riforme coincisero con la grande peste che sconvolse la Russia nel 1654 e con il periodo di terrore causato dall'approssimarsi del 1666, che molti russi credevano si sarebbe rivelato l'anno dell'apocalisse. Raskol così viene chiamata lo scisma che portò alla divisione della Chiesa russa in Chiesa ortodossa ufficiale e movimento dei vecchi credenti.

Nel 1700 dopo la morte del patriarca Adriano il nuovo Patriarca non fu eletto. Il patriarcato fu abolito da Pietro il Grande nel 1721 e sostituito dall'istituzione del Santo Sinodo, di cui il Metropolita di Mosca, era a capo. Il Santo Sinodo fu sciolto nel 1917 in seguito alla rivoluzione d'ottobre e per la restaurazione della figura del Patriarca di Mosca.
Patriarca Tichon, Mosca

Il 28 ottobre (17 novembre) 1917 al Pomestnij Sobor di tutta la Russia fu restaurato il patriarcato. Il primo Patriarca dopo il periodo sinodale fu eletto metropolita di Mosca Tichon (fu canonizzato nell'ottobre 1989).

Dopo la rivoluzione d'ottobre la Chiesa viene perseguitata perché fu considerata parte della fazione anti-bolscevica e molti membri del clero vennero incarcerati o uccisi dal nuovo regime. Dopo la morte di patriarca Tichon avvenuta nel 1925, il posto di Patriarca rimane vacante. Solo nel 1943 fu eletto il nuovo patriarca Sergio I.

Negli anni venti, a seguito della Rivoluzione Bolscevica, la comunità ortodossa russa all'estero si rese protagonista di uno scisma, rifondando la Chiesa Ortodossa Russa all'estero. La Chiesa scismatica ebbe la sua sede a dapprima in Serbia, poi negli USA a Jordanville. A seguito di un riavvicinamento tra le due Chiese, il 17 maggio 2007 lo scisma si è ricomposto [1], con la firma di un atto di riunificazione da parte del patriarca russo Alessio II e del metropolita Lavr, capo della Chiesa estera, nella Cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca.

Nel 2000 è sorto il problema dell'Estonia. Divenuta l'Estonia indipendente, i suoi vescovi avevano chiesto per la loro Chiesa l'autocefalia. Offesi dal diniego moscovita, ed ancor più risentiti poiché il patriarca Alessio II di padre pietroburghese, era nato in Estonia si sono rivolti a Costantinopoli che li ha accontentati. Da allora, nel canone delle Liturgie del clero della Chiesa ortodossa russa, non si è più fatto, per un tempo, memoria del Patriarca di Costantinopoli. Il 27 luglio 2008, i due Patriarchi hanno concelebrato la Divina Liturgia a Kiev a l'occasione del 1020º anniversario del Battesimo della Russia [2], e si sono incontrati in seguito, deludendo in questo i progetti di manomessa sulla Chiesa del governo ucraino.

Il 1º febbraio 2009 dopo la morte del patriarca Alessio II avvenuta nel novembre 2008, il Metropolita di Kaliningrad e Smolensk Cirillo I fu eletto nuovo patriarca di Mosca e di tutta la Russia.
 
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fiordiloto_1969
view post Posted on 2/8/2011, 08:47     +1   -1




Chiesa cattolica



La Chiesa cattolica (dal greco: καθολικός, katholikòs, cioè "universale") è la Chiesa cristiana che riconosce il primato di autorità al vescovo di Roma, in quanto, secondo la fede cattolica, successore dell'apostolo Pietro sulla cattedra di Roma.

Il nome richiama l'universalità della Chiesa fondata da Gesù Cristo, la quale viene dichiarata sussistere nella Chiesa cattolica visibilmente organizzata, senza con ciò negare e anzi affermando la presenza di parecchi elementi di santificazione e di verità nelle altre Chiese separate da essa.

Tra le Chiese cristiane, secondo le statistiche, la Chiesa cattolica conta il maggior numero di fedeli a livello mondiale, con un'alta percentuale in America Latina e in Europa.


Panoramica

La Chiesa cattolica nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, 8, del concilio Vaticano II dichiara di essere «l'unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo apostolico, cioè il Credo professiamo una, santa, cattolica e apostolica e che il Salvatore nostro, dopo la sua resurrezione, diede da pascere a Pietro (cfr. Gv 21,17), affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida» e dichiara che «Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui».

La Chiesa cattolica stabilisce il proprio effettivo giorno di nascita già nel mattino di Pasqua, quando Cristo risorto si rese manifesto alle donne e agli apostoli. Da quando gli Apostoli ricevettero lo Spirito Santo nel giorno di Pentecoste essa realizza l'imperativo missionario di Gesù:

« Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. » (Matteo 28,19-20)

La sua diffusione fu rapida e continua in numerose aree dell'Impero romano, anche se venne riconosciuta come lecita solo nel IV secolo con l'editto di Milano di Costantino I. La sua capacità di conversione fu dovuta anche al fatto di voler manifestare la propria religione non come una credenza tribale associata a un particolare popolo o etnia (quale era ad esempio quella ebraica), ma di presentarsi come Ecclesia, comunità di credenti aperta a tutti, indipendentemente dall'appartenenza di ognuno. L'universalità del suo messaggio, tramite cui si fece interprete della legge morale naturale, le consentì di andare oltre le divisioni di classe, di razza, di sesso e di nazione.

La Chiesa cattolica esiste in forma attuale nella Chiesa retta dal vescovo di Roma, il papa, e da tutti i vescovi in comunione con lui; insegna che «il popolo di Dio restando uno e unico si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli» e per questo la «Chiesa cattolica [...] tende a ricapitolare tutta l'umanità [...] in Cristo capo nell'unitò del suo Spirito.»

Informazioni sugli insegnamenti e l'organizzazione della Chiesa cattolica possono essere reperite nel catechismo della Chiesa cattolica, nell'Annuario pontificio, nel Codice di diritto canonico e nel Codice dei canoni delle Chiese orientali.


Dottrina


Il crocifisso, l'immagine di Gesù sofferente sulla croce, si è diffusa nella chiesa cattolica latina soprattutto dopo l'anno mille

La Chiesa cattolica afferma l'esistenza di un unico Dio in tre persone uguali e distinte, Padre, Figlio e Spirito Santo, creatore dell'universo e datore della vita e di bene. L'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, è dotato di libero arbitrio, in grado cioè di scegliere fra il bene e il male. Dio ha progressivamente rivelato sé stesso e ha stabilito un'alleanza dapprima con il popolo d'Israele e poi attraverso Israele a tutte le genti portando l'alleanza a pieno compimento in Gesù Cristo il Messia, Figlio di Dio della stessa natura del Padre; Egli ha compiuto l'Antica Legge, e ha portato la nuova Salvezza a tutti popoli, con una nuova alleanza.
La Bibbia, che unita alla Tradizione apostolica è la fonte della Rivelazione: immagine della Bibbia di Gutenberg, la prima cattolica a stampa (Vulgata)

L'opera di Gesù Cristo prosegue nella Chiesa cattolica, guidata dallo Spirito Santo e istituita da Dio per la salvezza di tutte le genti.

La missione della Chiesa si esercita con gli insegnamenti, la preghiera, la liturgia e l'amministrazione dei sacramenti attraverso cui Dio offre in dono la grazia. Sono considerate fonti della rivelazione la Bibbia e la tradizione. Per lo sviluppo e l'esposizione della dottrina, vengono considerati autorevoli i canoni di 21 concili ecumenici, di cui i primi sette in comune con le Chiese orientali, e gli scritti dei Padri della Chiesa e il magistero ordinario, con cui il papa insegna in qualità di successore di Pietro.

Una moderna sintesi di tutta la dottrina cattolica può essere trovata nel Catechismo della Chiesa Cattolica, la cui ultima versione è stata redatta nel 1992 sotto papa Giovanni Paolo II da una commissione con a capo il cardinale Joseph Ratzinger, dal 2005 papa Benedetto XVI. Nel 2005 è stato pubblicato il Compendio del Catechismo, con la formula a domande e risposte per una più agile comprensione. La fede cattolica è condensata nel simbolo apostolico che riassume le principali verità del credo.


Storia della Chiesa


Se si pone attenzione soprattutto agli svolgimenti delle istituzioni civili in Europa, e alle relazioni della Chiesa con esse, allora si distinguono convenzionalmente 4 fasi della storia della Chiesa:

storia della Chiesa in epoca antica: dalla nascita con Gesù Cristo, fino al sorgere del Sacro Romano Impero Germanico con Carlo Magno (I-VIII secolo);
storia della Chiesa in epoca medievale (dall'VIII al XV secolo): da Carlo Magno fino alla nascita degli stati nazionali assolutistici nel XIV-XV secolo (soprattutto Francia e Spagna);
storia della Chiesa in epoca moderna (secoli XV-XVIII): è l'epoca dei grandi concili del XV e XVI secolo, della rottura dell'unità religiosa dell'Europa occidentale, con la nascita del movimento luterano; il periodo termina con la Rivoluzione francese;
storia della Chiesa in epoca contemporanea: dalla Rivoluzione francese ai nostri giorni.

Organizzazione ecclesiastica
Suddivisioni territoriali


La Chiesa cattolica è composta da tutti i suoi battezzati, e da un punto di vista territoriale è suddivisa in sedi o chiese particolari, chiamate diocesi nella Chiesa latina ed eparchie nelle Chiese orientali. Alla fine del 2004 il numero delle sedi era 2.755 (Annuario Pontificio del 2005). Le diocesi sono affidate ad un vescovo (eparca per le eparchie), che è considerato successore degli apostoli. A capo del collegio dei vescovi sta il vescovo di Roma, il papa, che è considerato il successore dell'apostolo Pietro.

Il territorio delle diocesi è suddiviso in parrocchie, rette da un parroco o da un amministratore parrocchiale. Con il concilio di Trento (XVI secolo) venne data grande importanza anche alle parrocchie rurali, mentre più anticamente erano state le pievi, raggruppamenti di paesi intorno al centro più grande della zona, a segnare la divisione delle diocesi.

Chiese e riti cattolici

Diversamente dalle "famiglie" o "federazioni" di Chiese formate dal riconoscimento mutuo di corpi ecclesiali distinti, la Chiesa cattolica si considera un'unica chiesa incarnata in una pluralità di chiese locali o particolari, in quanto «realtà ontologicamente e temporalmente preesistente ad ogni chiesa individuale particolare».

La Chiesa cattolica riconosce grande importanza alle chiese particolari, la cui importanza teologica è stata evidenziata dal Concilio Vaticano II; il termine Chiesa particolare ha due usi distinti:

può riferirsi ad una diocesi, che nel Decreto sulla pastorale dei vescovi Christus Dominus viene descritta come: «una porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali del vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore, e da questi radunata nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e della eucaristia, costituisca una Chiesa particolare nella quale è presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica»;
oppure ad una chiesa sui iuris che si differenzia per una maggiore autonomia come riconosciuto dal concilio Vaticano II nel decreto sulle chiese cattoliche orientali Orientalium Ecclesiarum che riconosce le chiese o riti particolari.

L'Ordine sacro



La struttura ecclesiastica cattolica è organizzata secondo tre gradi del sacramento dell'ordine sacro. In ordine decrescente di pienezza essi sono:

Vescovo, che rappresenta la successione degli apostoli;
Presbitero (o prete, o sacerdote), collabora con il vescovo come suo sostituto;
Diacono, collabora con il vescovo e con i presbiteri nella modalità del servizio.

Questi ordini (insieme, in passato, agli ordini minori) costituiscono nel complesso il clero.

A coloro che hanno ricevuto il sacramento dell'ordine possono poi essere conferiti altri titoli e cariche che non hanno valore sacramentale, ma onorifico o inerente all'ufficio come, ad esempio: cardinale, arcivescovo, monsignore. Lo stesso si può dire del papa che, è dal punto di vista sacramentale, un vescovo.

Ai tre gradi dell'ordine sacro corrispondono diversi munera ossia poteri quanto alla celebrazione, alla potestà di governo ed all'annuncio del Vangelo.

Il diacono svolge eminentemente funzioni di servizio nel ministero dell'altare, della parola e della carità. Può celebrare il sacramento del battesimo e del matrimonio nonché i sacramentali quali la benedizione o il rito delle esequie.

Il presbitero coopera al ministero del vescovo e ne assume alcune potestà quali la celebrazione dei sacramenti (esclusi l'ordine e la confermazione), dei sacramentali, la presidenza delle celebrazioni liturgiche, l'annuncio della parola e la potestà di governo secondo le indicazioni date dal vescovo. Tra queste la più comune è la responsabilità di una parrocchia.

Il vescovo, infine, ha la pienezza dell'ordine sacro. Amministra in prima persona tutti i sacramenti e sacramentali o può delegare altri vescovi o presbiteri, come nel caso della cresima o dell'esorcismo.

Il papa

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Papa, Primato di Pietro e Primato papale.
San Pietro, considerato il primo papa dalla Chiesa Cattolica, in un ritratto di Rubens

La Chiesa cattolica afferma che Gesù conferì all'apostolo Pietro l'autorità ultima su tutta la comunità dei suoi discepoli: secondo l'interpretazione cattolica Cristo conferì a Pietro nei pressi di Cesarea di Filippo il primato sugli altri apostoli e su tutta la Chiesa (Matteo 16,13-20) e lo riconfermò dopo la resurrezione nell'apparizione presso il lago di Tiberiade (Giovanni 21,15-19).

Il contesto del primo episodio è quello della domanda di Gesù ai discepoli riguardo alla sua identità. Alla risposta di Pietro «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», Gesù replica: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Nel secondo episodio invece Gesù chiede per tre volte a Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami?», e ogni volta alla sua risposta affermativa replica: «Pasci le mie pecorelle.»

Tali passi sono interpretati dalla Chiesa cattolica nel senso forte di un primato di insegnamento e giurisdizione su tutta la Chiesa, e sono anche interpretati a fondamento della dottrina del primato papale. Essendo stato Pietro il fondatore, o almeno il primo vescovo della Chiesa di Roma, il suo primato si trasmette al suo successore nella stessa sede, quindi al vescovo di Roma.

Il ruolo del papa è andato crescendo nel II millennio, fino a raggiungere il suo apice nel XIX secolo con la dichiarazione sull'infallibilità papale del Concilio Vaticano I.

Secondo tale dichiarazione il papa può esercitare il diritto di dare insegnamenti riguardo alla fede ed alla morale, da ritenere parte del deposito della fede, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il «suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani», e quando «definisce una dottrina circa la fede e i costumi».
La cattedra papale nella basilica di San Giovanni in Laterano a Roma

A partire dalla definizione dell'infallibilità del 1870, quest'ultima è stata esercitata formalmente una sola volta dai pontefici, e questo con la promulgazione del dogma dell'Assunzione di Maria da parte di papa Pio XII nel 1950. Tutti gli altri insegnamenti impartiti dai Papi negli ultimi 150 anni non sono stati formalmente definiti "dogmi".

L'infallibilità papale ha portato alla formale accusa di eresia da parte della Chiesa cristiana ortodossa che, nel 1848, e nella figura dei Patriarchi di Costantinopoli, Alessandria e Gerusalemme, unitamente ai loro Sinodi, inviò un'enciclica a Papa Pio IX dove condannava tale dottrina come "eresia" e coloro che la sostenevano come "eretici", sulla base della convinzione che il vescovo di Roma e la sua Chiesa avrebbero abbandonato la conciliarità in favore della monarchia e del monopolio dei doni dello Spirito Santo.

La procedura per l'elezione del Papa e la nomina dei vescovi ha subito numerosi cambiamenti nel corso dei secoli: dai tempi moderni (Viterbo, 1271), il papa viene eletto in conclave dai cardinali, i Principi della Chiesa; a lui compete invece di nominare direttamente i membri del clero di gerarchia più elevata di rito latino, a partire dai vescovi (normalmente dopo consultazione con gli altri prelati). Nelle Chiese cattoliche orientali i vescovi vengono nominati dai rispettivi patriarchi, secondo gli usi locali.

Il papa è assistito nei suoi compiti dai cardinali. Tutti i membri della gerarchia ecclesiastica rispondono a lui ed alla Curia Romana nel suo insieme. Ogni papa continua il suo servizio fino alla morte (ciò valeva anche per gli altri vescovi fino a non molto tempo fa) o rinuncia (che è avvenuta una sola volta, con Celestino V, in tutta la storia del papato).

Il papa risiede attualmente nella Città del Vaticano, un piccolo stato indipendente situato nel centro di Roma, del quale egli è monarca assoluto, e riconosciuto dalla maggioranza della diplomazia internazionale come ambito di sovranità della Santa Sede.

Istituti di Vita consacrata


Nel corso dei secoli si sono sviluppate esperienze comunitarie al di fuori della diocesi, chiamati ordini religiosi, soprattutto configurate in monachesimo, ordini mendicanti fino alla nascita della prima congregazione religiosa che diventeranno via via le nuove realtà comunitarie della chiesa.

I primi, a cui si può dare la nascita in occidente con la Regola benedettina, si svilupparono in un momento di crisi (VIII - XII secolo) come tentativo di instaurare un particolare e più intimo legame con Dio. I secondi, nati durante la riforma del XII secolo si caratterizzano nelle loro diversità per la ricerca di attualizzare il messaggio cristiano nella società: tra questi i carmelitani, i francescani e i domenicani. Non sono mancate, dal XIX secolo, le Congregazioni religiose maggiormente attente ai bisogni dei giovani, degli anziani e di altre categorie sociali svantaggiate. Tra esse spiccano le comunità missionarie, con lo scopo precipuo di diffondere la fede cattolica in tutto il mondo.

Dal IV secolo in poi si ha la nascita dei vari ordini religiosi cosi divisi:

ordini monastici: benedettini, cistercensi, trappisti, certosini, camaldolesi, ecc.
canonici regolari: teutonici, premostratensi, crocigeri, ecc.
ordini mendicanti: francescani, domenicani, agostiniani, trinitari, carmelitani scalzi ecc.
chierici regolari: gesuiti, camilliani, somaschi, ecc.

Mentre per arrivare ad una congregazione religiosa si deve aspettare il XVII secolo, tra le più diffuse:

passionisti
salesiani
mariani
missionarie della carità

Le due realtà degli ordini e delle congregazioni religiose si differenziano per l'emissione dei voti: per i primi essa avviene in forma solenne, per i secondi in forma semplice; formalmente non ci sono differenze rilevanti.


Movimenti, associazioni e prelature


Nel XX secolo ha preso avvio il fenomeno dei movimenti ecclesiali: questi sono associazioni di fedeli ispirate da un carisma particolare e che si organizzano autonomamente dalla normale gerarchia (vescovi e parroci). La differenza fra i movimenti e le associazioni è che queste ultime non sono organizzate autonomamente dalla gerarchia (come invece avviene per i movimenti), ma collaborano con essa in modo integrato e coordinato, partecipando attivamente in pressoché tutti i momenti della vita parrocchiale e diocesana. Gli aderenti ai movimenti, al contrario, hanno un calendario spesso molto fitto di eventi caratteristici del proprio movimento e celebrano fra di loro la messa domenicale, con l'effetto quindi di limitare o azzerare i contatti con la vita parrocchiale e di consentire una partecipazione quasi sempre marginale ai momenti diocesani.

Liturgia

La celebrazione dell'Eucarestia durante la Messa secondo la forma straordinaria del rito romano
Liturgia del Venerdì Santo

La liturgia è il culto pubblico della Chiesa. Essa consiste nei sacramenti e nella preghiera pubblica, secondo le feste dell'anno liturgico. Le forme sono molto variate nel corso dei secoli e, fino agli anni sessanta del XX secolo, nelle Chiese cattoliche di rito romano e ambrosiano essa era celebrata in latino, ragione per cui la Chiesa cattolica occidentale era anche detta Chiesa latina. Esistono tuttora altri riti latini, conservati in alcune zone:

il Rito ambrosiano diffuso nell'arcidiocesi di Milano e in alcuni decanati limitrofi, principale tra i riti latini a minor diffusione;

il Rito mozarabico (principalmente nella cattedrale di Toledo, in Spagna);
il Rito gallicano o lionese (a Lione, in Francia);
il Rito di Braga (o bracarense) (nell'arcidiocesi di Braga, in Portogallo).

Le liturgia varia in base ai riti e alle famiglie liturgiche: il più diffuso, specialmente in occidente, è il rito latino che è anche il più seguito in Italia.

La Chiesa cattolica celebra l'eucaristia o messa in modo particolare la domenica e gli altri giorni festivi come celebrazione solenne e festosa della "resurrezione di Cristo", considerata conseguenza diretta del suo sacrificio sul Calvario. Messe feriali sono celebrate tutti i giorni a parte il Venerdì Santo e il Sabato Santo (giorni aliturgici).

Altro pilastro della preghiera liturgica è la Liturgia delle ore (o ufficio divino), che consiste nella "consacrazione" di ore canoniche nel corso del giorno e della notte. Le principali ore sono Lodi e Vespri, rispettivamente preghiera del mattino e della sera. Le preghiere consistono principalmente in salmi. Possono essere aggiunti da uno a tre periodi di preghiera intermedi (Terza, Sesta e Nona) e un'altra preghiera dopo il tramonto (Compieta), ed un altro periodo variabile dedicato principalmente a letture dalla Bibbia o a padri della Chiesa. Come per la messa, la liturgia delle ore ha ispirato importanti composizioni musicali dal canto gregoriano alla polifonia, fino alle complesse orchestrazioni dell'età barocca.


Culto mariano


La Chiesa cattolica è stata anche il primo e più vasto centro di culto verso Maria, la Madre di Gesù. Il culto di Maria è presente nella liturgia della Chiesa fin dalle origini, sia come oggetto di venerazione in se stesso, sia come elemento potentissimo di intercessione presso Gesù Cristo. Oltre a ciò, Maria è vista anche come modello di imitazione.

Dal punto di vista storico, la sua opera di mediazione tra Dio e l'umanità si spiega con l'investitura che ricevette da Gesù sulla croce, quando venne "donata" agli uomini per farli sentire più vicini a Lui. Soprattutto dopo l'ascensione di Gesù, Maria rimase il punto di riferimento per la comunità dei credenti appena sorta, preservandone l'unità di fronte alle nuove sfide e alle potenziali discordie che caratterizzarono la primissima era cristiana. Il culto verso la Beata Vergine andò poi aumentando fino a quando si arrivò a una notevole diffusione dopo il concilio di Efeso (431), che la riconobbe ufficialmente come "Madre di Dio" (Theotókos).

Nell’Esortazione Marialis Cultus di Papa Paolo VI del 1974 al culto di Maria vengono date le seguenti indicazioni: esso deve attingere il più possibile alle Sacre Scritture, va collocato nel ciclo annuale delle liturgie ecclesiastiche, ha un orientamento ecumenico (volto cioè a promuovere l'unità dei cristiani), e guarda a Maria come a un modello di vergine, di madre e di sposa. Nell’Esortazione sono presenti anche descrizioni e suggerimenti circa la preghiera del Santo Rosario, uno dei principali esercizi attraverso cui la Chiesa manifesta la propria devozione a Maria; sul Rosario è tornato Giovanni Paolo II con la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae del 2002 per aggiungere ai quindici tradizionali misteri della gioia, del dolore e della gloria, cinque «misteri della luce» riguardanti la vita pubblica di Gesù (Battesimo, Nozze di Cana, Predicazione del Regno, Trasfigurazione, Istituzione dell'Eucaristia). Giovanni Paolo II nel 1986 ha anche fatto pubblicare un nuovo messale comprendente messe specifiche da dedicare alla Beata Vergine.


La denominazione Chiesa cattolica romana


Per comprendere la denominazione "Chiesa cattolica", occorre dapprima chiarire cosa si intenda per "cattolico".


Il termine cattolico


Tre sono i significati principali del termine "cattolico": etimologico, confessionale, teologico.

Etimologicamente, il termine "cattolico" viene dal greco καθολικός, che significa propriamente "completo", "tutto insieme". Questo è il significato primo del termine, così come viene esplicitato nel Credo niceno: "Credo la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica...". Con ciò, tutti i cristiani credono che la chiesa sia "universale", ossia chiamata dal suo Fondatore alla diffusione universale del messaggio,
Con le separazioni in seno alla Chiesa cristiana originaria, separazioni avvenute già nei primi secoli, ma poi inaspritesi con la separazione dall'Oriente cristiano (1054) e con la Riforma protestante del XVI secolo, il termine "cattolico" ha assunto un significato "confessionale", ad indicare quella parte della Chiesa cristiana, fedele al Vescovo e Papa di Roma, e che riconosce in lui l'autorità suprema della Chiesa.
Ciò non toglie che molte confessioni cristiane utilizzano il termine "cattolico" in riferimento a sé stesse in rapporto alla Chiesa universale, dando tuttavia al termine significati teologici differenti.

Il termine compare per la prima volta con Ignazio di Antiochia (I sec.) che si rivolge alla comunità di Smirne: «Là dove c'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica» (Ad Smyrnaeos, 8)

Storia del nome Chiesa cattolica

Anticamente per Chiesa cattolica si intendevano tutti i cristiani la cui dottrina era considerata ortodossa; Agostino d'Ippona scrisse nel 397 riguardo ad alcune Chiese che considerava eretiche:

« [...] lo stesso nome di Cattolica, che, non senza un motivo, solo questa Chiesa ha ottenuto in mezzo a numerosissime eresie, per cui, benché tutti gli eretici vogliano dirsi cattolici, tuttavia se uno domanda a qualche straniero dove si riunisca la Cattolica, nessuno degli eretici ha l'ardire di mostrare la sua basilica o la sua casa. »


Fino all'anno Mille, prima dello scisma d'Oriente (1054), con il termine Chiesa cattolica si identificava l'intera Chiesa orientale e occidentale, e prima della Riforma protestante il termine "cattolico" non aveva assunto anche il significato confessionale che ha avuto dal concilio di Trento, che può essere considerato l'evento che ha formato la fisionomia moderna della Chiesa, anche in rapporto alle altre confessioni cristiane.

Oggi, in verità, tutte le Chiese cristiane si professano parte dell'una, santa, cattolica ed apostolica chiesa dichiarata nel simbolo niceno-costantinopolitano[senza fonte], non intendendo con questo la chiesa cattolica come confessione. In conseguenza del significato odierno del termine cattolico alcune chiese protestanti preferiscono la dizione Chiesa universale ed aggiungono l'attributo romana alla dizione della Chiesa cattolica.

Uso della denominazione Romana

La Chiesa cattolica venne reputata romana riguardo alla dimensione unitaria e direttiva della Chiesa di Roma per tutte le chiese particolari che compongono la Chiesa cattolica genericamente intesa. Fu cioè denominata "romana cattolica" essendo concepita come fondazione di una dimensione ecclesiale in cui essa si svelava madre e maestra delle chiese particolari.

Secondariamente poi il nome di Chiesa cattolica romana appare nel linguaggio ecclesiale definito e stabilito della chiesa romana medesima anche per identificare la chiesa cattolica nel suo rapportarsi alle chiese separate. Così il termine di Chiesa cattolica romana si diffonde ulteriormente dopo delle divisioni causate dagli scismi irrisolti nella compagine della grande Chiesa del millennio precedente, anche per ribadire un senso e una direzione dell'unità da ritrovare.

Recentemente si è pure diffuso l'anglicismo Chiesa cattolica romana, derivato dall'inglese Roman Catholic Church. Questa denominazione aveva originariamente un significato polemico ed era intesa come un ossimoro dichiarante la limitazione geografica alla pretesa di universalità della Chiesa cattolica, oltre che essere analoga alla denominazione geografica di alcune chiese di stato protestanti. In realtà il termine vi risulta sottostimato, poiché la Chiesa cattolica romana è formata dalla Chiesa di Roma insieme a tutte le chiese particolari, orientali e occidentali.

« L'uso di questo termine composto in luogo di Romano, Romanista o Romista, che hanno acquisito un significato spregiativo, sembra essere comparsa nei primi anni del XVII secolo. Per ragioni diplomatiche è stato usato nei negoziati con Spanish Match (1618-1624) ed appare in documenti formali legati a questo stampati da Rushworth (I, 85-89). Dopo quella data fu adottato generalmente come un termine non controverso ed è stato riconosciuto legalmente anche in designazioni ufficiali, sebbene nell'uso ordinario il singolo termine "Cattolico" sia utilizzato molto di frequente. »

L'uso della re-interpretazione anglicana del termine "cattolici romani" ha in realtà un'origine più antica; uno scrittore di simpatie puritane, Percival Wiburn, usò il termine «Roman Catholic» ripetutamente nel suo articolo Checke or Reproofe of M. Howlet (in risposta ad un gesuita che aveva scritto sotto lo pseudonimo di Howlet); scrisse ad esempio «voi cattolici romani che chiedete tolleranza» (p. 140), «parlous dilemma or streicht in cui voi cattolici romani siete stati portati» (p. 44).

Robert Crowley, anglicano, nel suo libro A Deliberat Answere, pubblicato nel 1588, pur adottando in preferenza termini quali «cattolici romisti» o «cattolici papisti», scrisse anche al riguardo: «who wander with the Romane Catholiques in the uncertayne hypathes of Popish devises» (p. 86).

Altri scritti simili risalenti al periodo poco successivo alla riforma protestante mostrano come termini quali «romano» fossero usati indifferentemente insieme a «papista» da parte di protestanti che rifiutavano l'uso del termine «cattolico» per definire i soli cristiani che riconoscevano l'autorità del papa.

Alcune Chiese cristiane utilizzano comunque il nome Chiesa cattolica anche in discorsi formali e in documenti da esse sottoscritti, ad esempio i documenti scritti in comune dalla Chiesa cattolica e dalla Federazione Mondiale delle Chiese Luterane e nelle "Comuni dichiarazioni cristologiche tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa assira orientale"
 
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6 replies since 26/4/2011, 11:32   53 views
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